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Ognuno di noi nella vita avrà sentito rivolgersi la classica espressionerimprovero: «Questo da te non me lo sarei mai aspettato?». Ciò sta ad indicare che, nella percezione dell’altro, siamo dati una volta per tutte. Noi avvertiamo, invece, la permanente latenza di possibili scelte nuove e dirompenti. Non vogliamo, insomma, rappresentare un’icona immobile nell’immaginario altrui. Però il problema non si risolve nell’annullare la nozione e la percezione di un nostro «sé»: senza di esse non potremmo mai operare scelte basate su un minimo di continuità e coerenza, che sono pure necessarie per costituirci in unità di persona. Si tratta di mettere in conto che il sé è in permanente divenire, perché la realtà, il contesto, gli eventi chiedono integrazioni, crescite, tagli. Allora abbiamo la consapevolezza del sé, di essere un sé. Ma cos’è il «sé» di cui ognuno di noi dovrebbe o vorrebbe avere misura? E con quali categorie misurarlo? Ed è possibile questa misurazione che ci permetterebbe di evitare sopravalutazioni o sottovalutazioni di quello che “siamo” o potremmo essere?
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Tutti noi,almeno una volta nella vita ci saremo trovati a doverci chiedere: " Chi sono io? Sono davvero quello che penso di essere?" E soprattutto, "La visione che ho io di me stesso, corrisponde a quella che gli altri hanno di me?"Interrogativi che sorgono spontanei,in diversi contesti delle nostre relazioni sociali : quando ci troviamo in situazioni imbarazzanti che sembrano prendere la piega dell'inganno o della malafede, quando siamo convinti che le nostre intenzioni siano state male interpretate,quando non siamo sicuri di avere compreso chi ci sta di fronte.Quanto è importante allora avere piena consapevolezza del nostro sè,che altro non è che la piena conoscenza e padronanza della nostra vera identità? Ma la nostra identità è un essere in divenire, che muta e si trasforma nel tempo e attraverso l'esistenza,così non esiste mai una definitiva appropriazione conoscitiva di noi stessi, come pure suggeriva sin dall'antichità, la scritta ammonitiva sul tempio dell'oracolo di Delfi,"Uomo conosci te stesso, niente di troppo."La seconda parte della frase sembrava suggerire appunto la morigeratezza. Infatti vivere,venendo vissuti implica un doveroso senso della misura di sè, indispensabile per la nostra interazione con il mondo, con gli altri e con noi stessi, proprio per poter evitare l'inganno e la travisazione arbitraria."La misura di sè tra virtù e malafede"scritto dal professore Giovanni Invitto, ordinario di filosofia teoretica presso l'università del Salento, è un percorso narrativo filosofico di evidenziazione,introspezione e autoriflessione sul nostro sè, che segnala all'attenzione del lettore sia i possibili fattori responsabili,che le possibili idee regolative, per giungere con pensiero cosciente, al perchè del fondamentale bisogno di un'adeguata visione del sè di ognuno di noi percepito dall'altro e dell'altro fuori da noi percepito dal nostro sè.
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