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Vannini riprende qui i temi che gli sono propri: il richiamo al ruolo fondamentale dello spirito, la necessità di svuotarsi della propria egoità, la fede come allontanamento dalle opinioni comuni, la concezione di un Dio privo di attributi, pura luce. Rifiutando una Chiesa che privilegia un credo esteriore, politicizzato, e una fede consolatoria e superstiziosa, ribadisce la convinzione che la verità possa essere raggiunta solo attraverso lo scavo nell’interiorità e il distacco da ciò che è molteplice, vano, perituro. Ciò che ci distrae dall’accogliere in noi l’eterno che siamo e l’eterno che è, sono le sirene dell’egomania, gli abbagli menzogneri del prestigio personale ed economico, l’adesione a modelli imposti mediaticamente. Tra i condizionamenti più pericolosi, l’autore segnala quelli suggeriti o addirittura prescritti dalle religioni ufficiali e dalla teologia. L’uso politico della religione, finalizzato al conseguimento e al mantenimento del potere, è evidente sia nell’ebraismo che nell’islamismo, nati entrambi da un’idea di conquista e dalla pretesa di essere gli unici depositari della verità. Anche il cristianesimo, che pure si manifesta in una dimensione più umana, mantiene in sé caratteri di affermatività dell’ego, di appropriazione e attaccamento: nella preghiera di esaudimento, nel desiderio di salvezza e di sopravvivenza ultraterrena, nel concetto di una divinità personale pronta all’ascolto e all’intervento, nella speranza di resurrezione come ripristino della corporeità, nel miracolismo come evento magico. Se Gesù predicava il distacco dalla carne e dalla psiche e la rinuncia a sé stessi per nascere a una nuova vita, il cristianesimo odierno si è invece ridotto a filantropia, melenso sentimentalismo e generico moralismo, poiché privilegia l’aspetto sociale e temporale del messaggio evangelico, anziché il superamento della particolarità che, come insegna la mistica, libera lo Spirito in un assoluto luminoso e lieve, nell’eternità del tutto.
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