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Basandosi su ricordi, verbali, ritagli di giornale, diari e testimonianze di alcuni protagonisti dell’epoca, a distanza di più di quarant’anni l’Autore rivive con pathos il clima e gli eventi nella Napoli del dopoguerra e degli anni cinquanta, e dipinge con una prosa felice luci e ombre che caratterizzarono in quel periodo l’ambiente partenopeo di sinistra, in particolare la federazione napoletana del Partito Comunista Italiano la cui storia si intreccia con le vicende amare di una figura femminile di spessore culturale e di grande generosità umana ai confini di una profonda spiritualità. Una intellettuale inquieta dal trascorso tormentato e dal sofferto presente, non disposta a tacere le proprie divergenze pur consapevole di andare incontro a costi assai alti, e dunque per molti versi scomoda e invisa a un apparato di partito con forti incrostazioni risalenti agli anni della clandestinità. È, quella di Rea, una dolorosa rievocazione risarcitoria delle umiliazioni inflitte ai dissenzienti da un gruppo dirigente che praticava un’adesione piatta e ottusa allo stalinismo e che dunque pretendeva obbedienza acritica cieca sia sul piano politico che su quello umano; mentre invece in quel periodo, anche grazie all’apporto di quadri giovani culturalmente vivaci e non legati al culto della fedeltà cieca, affioravano nel partito inquietudini, dubbi e cauti dissensi che sarebbero esplosi con una carica liberatoria a seguito del XX congresso del PCUS.
Un libro magico, di grande fascino e bellezza. Una delle mie letture preferite
Se ne consiglia la lettura. Bravo Ermanno
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