Se mai un uomo portò in sé i germi del suo tragico destino, questi fu Yukio Mishima. Si tolse la vita a 45 anni, il giorno in cui terminò l'ultimo romanzo della tetralogia Il mare della fertilità, capolavoro e testamento di un'opera letteraria vasta, policroma, spesso sconvolgente, che gli aveva meritato una fama mondiale. Mishima si diede una morte terribile, che punto per punto eseguiva il seppuku, il suicidio rituale della tradizione. Ma morte appagante: tramite essa i "quattro fiumi" della sua esistenza – la scrittura, il teatro, il corpo, l'azione – rifluivano insieme in quel "vuoto metafisico" che da sempre lo attraeva. All'atto supremo del suicidio si riferisce Marguerite Yourcenar per rivelare il senso dell'avventura umana di Mishima. E come la sua creazione letteraria le appare tutta votata alla morte, così quella morte volontaria le appare l'ultima delle sue opere: l'atto che soddisfava la sua ansia crudele di assomigliare ad esse annullandovisi, l'estremo e paradossale tentativo di unire arte e vita. In queste pagine, una grande scrittrice d'Occidente smonta i meccanismi della psicologia di un grande scrittore d'Oriente, illuminandone le ambizioni, i trionfi, le debolezze, i disastri interiori e infine il disperato coraggio. )
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