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C’è una parola che, più delle altre, mi arriva alla mente quando leggo le storie di persone migranti. È volontà, nel suo reale senso di determinazione che spinge migliaia di persone ad affrontare, con un po' di incoscienza e altrettanto coraggio, un viaggio tortuoso da paesi lontani. Annalisa Di Nuzzo in “Minori migranti”, pubblicato da Carocci editore, nel suo ruolo di antropologa culturale, mi ha spinto a fare un ulteriore passo in avanti aiutandomi a comprendere, con numeri alla mano e storie reali, come l’idea di vulnerabilità che accompagna specifiche categorie di migranti, i minori in questo caso, si trasformi in realtà in capability, nella capacità di reagire, superare e, in molti casi, raggiungere un’idea di successo personale. Il racconto è, prima di tutto, una fotografia di come sia cambiato il fenomeno migratorio dei minori stranieri non accompagnati dal 2000 a oggi, della differenza dei paesi di partenza e delle regioni italiane di arrivo, del ruolo primario degli operatori delle associazioni e delle strutture di accoglienza, delle realtà territoriali in cui vengono ospitati. È la giusta relazione empatica ad accorciare le distanze. È la capacità di ascolto delle storie di Edil, Mustafà, Aurora, e di tanti minori provati da abusi e sofferenze, a superare i confini, le diversità e arricchire la nostra società (umana) multiculturale e interconnessa. Perché, a volte, la narrazione a cui siamo costretti non corrisponde ai reali desideri di questi giovani divenuti improvvisamente adulti che “hanno lasciato le loro terre e i loro affetti con l’ostinata e legittima determinazione di chi desidera un futuro migliore per sé e per la propria famiglia”.
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