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Il saggio della studiosa francese, del quale esiste solo l'edizione italiana, in quanto è stato pubblicato in traduzione dal manoscritto originale in lingua francese, descrive un particolare movimento migratorio: quello, avvenuto sul finire del Medioevo, degli abitanti dei paesi del Sud-Est europeo, dei paesi slavi ed arabi verso Venezia e la loro integrazione nel gruppo sociale veneziano dei "Popolani". La ricerca inizia dai primi anni del XV secolo, quando è segnalata per la prima volta la presenza di orientali insediatisi a Venezia e giunge fino al 1509, anno nel quale fu effettuato il primo censimento parziale della popolazione veneziana. Se i Veneziani solcavano i mari e si fermavano in numerosi porti del Mediterraneo, Venezia doveva - per cortesia e per opportuna reciprocità - permettere sia ai propri sudditi sia agli alleati di commerciare e di lavorare nella città. I sudditi politici diventavano così clienti, che da essa potevano legittimamente aspettarsi protezione e asilo. L'arrivo di stranieri, spesso di condizione modesta, ed il loro insediamento in città, rappresenta un fenomeno umano meritevole di essere studiato e ricco di conseguenze. La presenza permanente di stranieri in una città di accoglienza implica che, a lungo termine, la cultura degli allogeni e la cultura della città di insediamento vedano realizzarsi un equilibrio proprio in questa seconda cultura. Già nel '400 Venezia appariva come multiculturale. Nel '500 e nel '600, la compenetrazione delle culture e delle civiltà sarà una caratteristica propria di Venezia, facendo della città dei Dogi una delle espressioni politiche più brillanti e significative dell'età moderna. Ma, sostiene l'A., chi potrà mai dire se non ci fu, per il grande arricchimento della civiltà veneziana, tra tutti questi allogeni e Venezia, più che un'assimilazione degli immigrati da parte della Serenissima, una specie di "sposalizio" altrettanto benefico e felice di quello, consacrato ogni anno dal Doge, con quel Mare da cui nasce la fortuna della città?
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