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Un eccellente saggio di ricerca storico-politica, che mi ha fatto rivedere la mia posizione sugli ebrei. Dedicato a tutti quelli che, pur difendendo la differenza tra antisemitismo e antisionismo, vogliono saperne di più sulla posizione degli ebrei ortodossi verso lo stato di Israele. Trovo la recensione dell'Indice alquanto fuorviante, oltre che inutilmente maligna. E' l'autore della recensione che manifesta una palese acrimonia, non Rabkin: per sincerarsene, basta leggere il passo con cui termina il libro, auspicando da parte di tutti una riflessione onesta e serena sui temi da lui trattati. Contesto anche ciò che nella recensione si dice a proposito dell'obiettivo del libro: che non è mettere in discussione la legittimità dello stato di Israele e la legalità del suo operato, ma far conoscere quei movimenti, finora rimasti nell'oscurità, che si oppongono all'idea mostruosa e aberrante di uno stato ebraico. Un'opposizione che, pur avendo radici religiose, ha un solido fondamento etico ed è estremamente riduttivo definire "ragionevole". Non ho trovato nessun compiacimento nell'esposizione di questi argomenti, ma solo una onesta e tenace volontà di capire e di far capire. Il richiamo finale al pericolo di cadute mitografiche appare poi velleitario e sarebbe stato meglio indirizzato all'adorazione cieca e idolatra dell'impresa sionista.
Recensioni
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Lo Stato d'Israele, Der Judenstaat , è "stato degli ebrei" o "stato ebraico"? La questione non è nominalistica. Nel primo caso è comunità politica fatta da ebrei, nel secondo si tratta di regime istituzionale e costituzionale fondato sulla base della tradizione religiosa. Se la querelle pare "filologicamente" risolta, non lo è sul piano delle tentazioni di chi vorrebbe riversare il primo nel secondo. Yakov Rabkin, che insegna storia all'Università di Montreal, indaga con acribia documentaria e acume analitico, ma anche con un'irrisolta acrimonia, nel merito delle fonti culturali e ideologiche che fondano il discorso ebraico sulla modernità politica. L'obiettivo è mettere in discussione la legittimità (e con essa la legalità dell'operato) dell'Israele contemporaneo, della costruzione sionista e dei suoi fondamenti. Il pedaggio che Rabkin paga, nel nome di un'adesione di principio alla rilettura critica del presente, è una rivalutazione di alcune correnti tradizionaliste, la cui seduttività sta nell'essere fondate su un "ragionevole" antisionismo giudaico. Laddove ragionevolezza equivale a poter dire certe cose senza essere tacciati di antisemitismo. Il testo si presenta, così, diseguale: a un solido disegno di fondo, corredato da riscontri documentali e da onestà intellettuale, si accompagna un compiacimento verso gli oppositori dell'oggi nel nome dello ieri, quello derivante da una lettura della realtà informata alla Bibbia ebraica, la Torah. Vi è certo ancora molto da dire riguardo alle narrazioni encomiastiche e apologetiche di parte israeliana. Ma è forse anche il caso di iniziare a leggere con occhio più attento le confutazioni che a esse sono rivolte. La critica del presente che si fonda sul ricorso al passato è essa stessa a rischio di cadute mitografiche.
Claudio Vercelli
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