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Letto in 1 giorno .libro stupendo😄.
Una storia veloce, come il dolore che trapassa. Da fianco a fianco. E lacera nella memoria. Quattro protagonisti, quattro cavalieri figli di un sottoproletariato comune. Quattro banditi dalla serenità di una comune infanzia. Sospesi ad ondeggiare sull’esile filo della legalità. Mai asserviti alla merda che ammorba le strade di Palermo, a quel fare mafioso che rinnegano. Eppure, quei quattro, finiscono col ritrovarsi piccoli Robin Hood al limitare di una periferia di città che pare esserlo in tutta la sua natura. Periferia. Una Palermo in cui il sopruso regna sovrano e il sangue scorre lungo i marciapiedi come i rivoli d’acqua dopo un temporale. Una Palermo dove la collusione pare totale e pertanto assente, perché indefiniti sono i contorni che porterebbero a distinguere il bene dal male. Ed ecco che quei quattro marmocchi stanno lì, lungo il confine, in bilico. E in bilico crescono, diventano adolescenti, scoprono l’amore e il dolore e il blues, che spesso costituiscono la medesima scoperta in una vita al margine.
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Una generazione perduta, tra amore e crudeltà
Il romanzo di Davide Ficarra, Milza Blues (141 pagine, 12 euro), edito da Navarra, è una sberla emotiva in pieno viso. Un racconto ambientato in uno dei quartieri più difficili e contraddittori di Palermo che mette in scena lo spettacolo della più crudele realtà siciliana, dove imperversa il dominio della più grande industria dell’Isola, Cosa nostra. Il Villaggio Santa Rosalia è un riuni con molteplici «probblemi, problemi con due b, visto che il quartiere di problemi ne aveva tanti» che deve fare i conti con la micro e macro delinquenza.
La Palermo raccontata da Ficarra è una città amara e feroce, su cui la mafia detiene un potere totale e assoluto. Il romanzo, che abbraccia un periodo che va dagli anni ’70 agli anni ’80, vede protagonisti quattro ragazzini di nove anni, Nicola, Giovanni e i gemelli Francesco e Totò che tra i vicoli del Villaggio Santa Rosalia realizzano il loro primo crimine, il furto di figurine dei calciatori e di giornaletti porno a danno di un’edicola, un’impresa che mette il sigillo sulla loro fraterna amicizia. Ben presto, però, il quartetto fantasia, come verrà soprannominato, perpetra una serie di azioni criminali che lo condurrà ad intralciare gli interessi di Enzuccio la belva, lo spietato boss del quartiere, e allo scontro con la mafia locale.
I ragazzi hanno “disgrazie” in comune: tutti e quattro crescono senza la figura di un padre, tutti e quattro sono tirati su da madri assenti che non si rendono conto della deriva criminale dei figli. Sono ragazzi segnati da un destino che chi nasce in un quartiere come quello spesso non può evitare, ma con un codice d’onore ben preciso, stabilito da Giovanni, il capo banda. Sono adolescenti che hanno il desiderio di sentirsi più grandi della loro età e, in quell’ambiente, l’unico modo è farsi strada come criminali. Quella raccontata da Ficarra è una generazione che affronta la vita con un enorme senso di oppressione negli anni più bui e sanguinosi della storia di Palermo, che assiste attonita alle vicende della città, dai ’70 agli ’80, alle guerre di mafia che mietono numerose vittime, tra mafiosi e rappresentanti delle istituzioni, e versano sulle strade lunghe scie di sangue, tra assassini ed eroina. Nella geenna del Villaggio Santa Rosalia la banda rappresenta per i quattro amici la famiglia che non hanno, l’affetto che gli manca, la possibilità di non essere soli, di crescere e di affrontare insieme le sfide che la vita presenta, «le spalle di un amico, la cura per quella solitudine immensa in cui erano cresciuti»
Poche regole, ma ben salde, che si ispirano a una vera e propria giustizia sociale e spingono, ad esempio, i quattro ragazzi a vendicare i soprusi subiti da Antonina, madre di Nicola, costretta a sopportare le angherie della signora Mangiaracina, la sua datrice di lavoro.
I quattro ragazzi si erano trovati tutti orfani della figura paterna e si sentivano in qualche modo responsabili per la sorte delle loro rispettive madri.
Ad ispirare l’azione di giustizia sociale e la lotta di classe è Filippo, il nonno di Giovanni, ex partigiano a capo di una cooperativa anarchica, che assurge a guida nello scenario di attivismo di sinistra di quegli anni. C’è poi la vicinanza con il partito comunista, grazie al legame di Antonina con Rita, l’amica che frequenta la locale sezione del partito e l’aiuta ad ottenere i suoi diritti di lavoratrice. Regole precise che, però, richiedono un’azione illegale e criminale, che sfidano i mafiosi, verso i quali il quartetto fantasia manifesta tutto il proprio disprezzo, in una sorta di guerra ad armi pari.
Tra i vicoli del Villaggio Santa Rosalia, l’umanità sopravvive come gesto di disubbidienza ad un destino che sembra già essere segnato. Ficarra riesce a commuovere i lettori raccontando le vicende di quattro ragazzi che, tra un furto e l’altro, varcano i confini del mondo femminile, fino a quel momento sconosciuto, s’innamorano di un amore tossico, come quello di Nicola verso Renata, l’adolescente eroinomane, un amore che nell’inferno della droga ha la forza di riscoprire la purezza. Il romanzo, dalla trama delicatissima, si svolge nel crudele e poetico accostamento di sentimenti che accomunano i quattro ragazzi, legati dagli stessi sogni e dal profondo odio verso una città sprofondata nel cosiddetto clima di piombo delle guerre di mafia.
Un disprezzo verso la mafia che a Palermo ha costruito il trust della morte ed ha influenzato la vita di tutti, anche di coloro che scelgono di non farne parte, come Giovanni, Nicola, Francesco e Totò che sono costretti a fare i conti con la malvagità banale dei mafiosi, una malvagità pura e terribile, vissuta con naturalezza e senza rimorsi. Sui mafiosi del quartiere riverseranno la loro sete di vendetta. La fratellanza dei quatto amici sopravvive in quel vuoto di sentimenti e di affetti. Un vuoto assoluto, dove l’umanità è assente.
La musica fa da sfondo alle vicende che coinvolgono il quartetto fantasia. Nicola ama la musica, ascolta Jim Morrison, Janis Joplin, i Pink Floyd e coinvolge tutta la banda, che trascorre le serate tra rock e canne. La canzone preferita resta Riders on the Storm, Cavalieri nella tempesta, che sembra raccontare la storia del quartetto fantasia. Ma accadono fatti che sconvolgono la vita dei quattro ragazzi, vicende che devastano l’esistenza di Nicola, dell’intero gruppo e, ben presto, cambia la colonna sonora della loro adolescenza. Il rock lascia spazio alla musica triste e malinconica del blues che colpisce in pieno viso, assesta i colpi senza nessun preavviso, contorce fegato e milza.
Davide Ficarra ha il merito di descrivere la vita di un quartiere palermitano, mettendone a nudo le contraddizioni, attraverso una scrittura e una prosa che sanno essere delicate e dure, allo stesso tempo. Nel suo racconto breve c’è tutto: amore e odio, rancore e generosità, onore e vendetta. Ma, a prevalere, è il grido disperato di quattro ragazzi che porteranno sulla pelle e sull’anima i segni di una adolescenza vissuta tra morte e crudeltà.
Recensione di Arcangela Saverino
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