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scheda di Bonifazio, P., L'Indice 1998, n. 2
Mies Van der Rohe è una delle figure più complesse dell'architettura del Novecento, di cui la critica ha spesso sottolineato la radicalità delle opere, facendo diventare il suo noto aforisma "less is more" una chiave di lettura irrinunciabile della sua architettura. Il testo di Neumayer, scritto nel 1986 e ora tradotto in italiano - è la nota dei curatori, tra l'altro, a colmare con l'apparato di note la lacuna temporale tra scrittura e traduzione -, intende costruire una lettura originale delle architetture di Mies a partire da un corpus documentario, quello dei suoi scritti, finora poco usato in modo sistematico. Se il legame tentato tra "parola" e architettura appare fragile, a volte forzato, la pubblicazione dei taccuini di Mies, la ricostruzione dei frammenti delle sue letture, accanto alla ricca antologia dei suoi articoli o discorsi brevi, offrono la possibilità di definire, in rapporto a un processo storico complesso, un sistema culturale personale, soggettivo, che interseca strategie di élite diverse per forma dell'aggregazione e finalità dell'azione. La definizione di Mies dell'architettura "come volontà dell'epoca tradotta nello spazio" può davvero avvicinare la sua esperienza all'avanguardia De Stijl, all'espressionismo di Bruno Paul, incontrare l'azione del Werkbund tedesco. Ma i suoi scritti su riviste filosofiche come "Die Zukunft" o d'avanguardia come "G", l'amicizia con il filosofo Riehl e il teologo Guardini danno conto di una riflessione neoplatonica, non isolata, sull'architettura e sull'arte, e di una formazione non accademica, compiuta da Mies tra la scuola della cattedrale di Aquisgrana e lo studio di Peter Beherens.
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