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Testo dimenticato fra i tanti d'epoca risorgimentale caduti ingiustamente nell'oblio, condivide con il testo maggiore del D'Azeglio, il fatto d'essere interrotto dalla morte dell'autore. A tanti anni dall'uscita (1899), può ancora definirsi godibile e interessante per il pubblico di oggi? La risposta è sostanzialmente affermativa, soprattutto per l'importanza dei riferimenti storici e la vivace presentazione di tanti personaggi, maggiori e minori che l'autore conobbe e frequentò. Naturalmente, nel fare quest'affermazione, bisogna avere la cautela di sottolineare che il lettore di oggi deve superare i difetti di uno stile "bozzettistico" e aneddotico a volte troppo marcato, che nel voler sempre richiamare l'aspetto fisico dei personaggi ritratti, finisce per impoverirne i più rilevanti aspetti caratteriali o psicologici. Detto ciò, alcuni di questi ritratti, da quello del Nigra (pp.126-7) a quello del Valerio (pp176-7), continuano ad suonare particolarmente azzeccati e penetranti. Se il ritmo diviene più incalzante mano a mano che ci si avvia alle pagine sul clima ribollente del 48 e sulla campagna militare, descritta con ironia e freschezza dal ventenne fantaccino volontario Bersezio, sono particolarmente convincenti le pagine sul clima asfissiante del bigottismo di stato imposto dall'imperante gesuitismo (pp73-4) che ben spiegano la popolarità delle leggi laiche dei primi anni '50, o quelle sull'occhiuta presenza di ben 6 polizie cittadine, tutte volte alla repressione di qualsivoglia libera manifestazione (cap XI); sul potere pervasivo delle false dicerie e delle paure collettive nell'epidemia di colera della metà degli anni 30: qui fra la cronaca di fatti e personaggi minuti che illumina bene il tragico momento, l'autore colloca efficacemente in primo piano la bella figura di Roberto D'Azeglio, impavido filantropo che si prodiga notte e giorno nel soccorrere gli sfortunati malati. Insomma, nell'insieme queste memorie sono ancora una lettura utile e convincente
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