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La mia vita dentro è un testo interessante perché scritto da una persona che ha fatto trentasei anni in carcere, dal 1969 al 2005. Stando dentro da incolpevole, da direttore, eppure recluso. Luigi Morsello, ispettore generale dell’amministrazione penitenziaria, è stato direttore di 7 case di reclusione, 1 istituto minorile e, come funzionario dirigente, in altre 22 carceri italiane. È un libro ricco di particolari, visti da chi li ha osservati vivendo in mezzo ai detenuti, alle guardie carcerarie; da chi ha avuto a che fare con politici e ordini dei vari superiori, non sempre accettabili. Ciò che colpisce di quest’uomo e del suo percorso lavorativo è la sua umanità e semplicità. Anche quando parla dei detenuti, anche di carcerati “eccellenti” quali Gianni Guido o dei mafiosi, o brigatisti; non accenna mai, nemmeno in minima parte a un qualsivoglia giudizio. È scritto in maniera semplice, a volte saltando da un periodo temporale all’altro, dando proprio l’impressione che insegua i suoi ricordi e rendendolo così, ancora più sincero. Ho apprezzato molto questo libro, essenzialmente perché anche io, per scrivere un mio romanzo, sono entrata in un carcere e ritengo che le persone, fuori, abbiano bisogno di essere messe al corrente dell’umanità che sta dentro, rinchiusa, ma che appartiene pur sempre a delle persone. Dice Morsello: “Ciò che le persone erano nella vita libera non ha alcuna rilevanza sul come devono essere detenuti dopo l’arresto: è questa coscienza che sembra essere stata smarrita. Un detenuto, imputato, condannato o internato, è prima di tutto un uomo”. Non posso che sottoscrivere appieno quanto detto da Morsello, forse, questa, è la “lezione” più difficile da far comprendere a chi pensa che il peccato appartenga solo agli altri. Nel libro troviamo, oltre ai suoi ricordi prettamente carcerari, altri episodi molto personali, quali la depressione e un tentativo di suicidio, che non fanno altro che farci avvicinare ancora di più all’uomo, il quale ci appare persona comune e vicina. “ C’è chi con
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