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I letterati milanesi del primo Ottocento, ancora "sospesi" tra la fine del mecenatismo ancien régime e una sorta di nuovo "mecenatismo di stato", confrontati alla cronica "inadeguatezza del mercato editoriale", vincolati alla necessità di "amicizie e conoscenze" per affermarsi o anche solo sopravvivere, operavano in un mondo certamente arretrato rispetto a quello europeo (pensiamo alla Francia di Balzac). Una minuziosa descrizione del loro statuto e della loro strategia di carriera offre il saggio di Albergoni, che riprende il concetto di "campo", elaborato da Pierre Bourdieu, associandolo a un'indagine quantitativa e statistica, "tra sociologia e storia". L'enorme quantità di materiali controllati e organizzati dall'autore fa di questo saggio un ottimo esempio di "microstoria", attenta alle "variabili" e alle "impercettibili differenze" dei casi individuali, alcuni dei quali sono studiati con abbondanti notizie di prima mano. Ma le pagine più affascinanti del volume si sforzano di tracciare le principali linee di sviluppo di questa fase storica del lavoro intellettuale, insistendo sulla prospettiva di lunga durata: la separazione sociale e la sua influenza sul "gioco" letterario e sulle specializzazioni di genere; la massiccia presenza professionale dei letterati nei quadri dei funzionari scolastici e degli impiegati pubblici, a testimoniare spesso situazioni di "precarietà personale" o dipendenza dalle istituzioni; il ruolo del giornalismo, in vistosa crescita nella Milano di primo Ottocento e capace di incrinare il ruolo tradizionale degli scrittori, ormai divisi fra letteratura "seria" e "leggera", fra libertà professionale e compromessi politici. In questo tortuoso labirinto, contraddittorio ma anche ricco di segnali che annunciano una più moderna Italia, il libro di Albergoni è un prezioso filo d'Arianna.
Rinaldo Rinaldi
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