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Parole che scavano l'acqua e che raccolgono la terra. Pastore ospite della terra e pescatore ospite dell'acqua sono gli archetipi del nostro modo di vivere da ospiti il mondo. Essenzialità che dona forza e fortezza che conduce all'essenza.
originale il binomio De Luca- Matino.L'uno linguista doc che arriva a cavare dalla parola il suo significato più recondito,l'altro che con la parola ti tocca il cuore.Nel pastore pescatore c,è proprio Matino ,attento che la pecorella non si smarrisca di nuovo e il pesciolino disorientato entri nella rete .Come al solito Matino pungola,provoca sostiene,coinvolge,ma sempre semina,stimolando la sequela con la forza dellAmore.
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Mestieri antichi e sempre nuovi, rinvigoriti dalle stagioni dell'uomo e modificati dallo sviluppo tecnologico, ma utili a delineare un dialogo millenario fra terra e cielo, fra la precarietà dei destini e l'ambizione all'eternità. Le riflessioni d'argomento biblico di Erri De Luca non rappresentano certo una novità: l'uomo e lo scrittore si uniscono sovente in un lavoro meditativo che scava nelle Sacre scritture per definire le scelte dell'umanità in rapporto alla fede, per stabilire un confronto tra vecchio e nuovo che spesso diventa il segnale della malattia contemporanea, l'indifferenza. De Luca affronta i testi sacri, le parole bibliche, con un'umiltà quasi pellegrina, come da una distanza abissale in cui l'uomo d'oggi stenta a riequilibrare le sorti della creazione in funzione delle sue intenzioni assolute, eterne. Il discorso dello scrittore rientra quindi, quasi sempre, in una dimensione di lettura o timida interpretazione dei passi salienti del Vecchio e del Nuovo Testamento, evitando commenti troppo "terreni" che possano sminuirne le intenzioni. L'uomo si prostra dinanzi al Verbo, lo ascolta e lo assimila, ne cerca tracce in un presente troppo chiassoso e inquieto, ma tende – in qualche modo – a evidenziare l'attualità della Parola, a trovarne un senso compiuto anche nella babele dei destini planetari contemporanei.
Non c'è confronto neanche in questo caso, nell'omaggio che De Luca e Gennaro Matino – sacerdote napoletano – rivolgono ai mestieri del popolo di Dio contemplati nella Bibbia e nei Vangeli. Nessuno spunto narrativo, nessun commento, solo una constatazione a due riferita alla volontà umana di riflettersi nelle intenzioni divine omaggiando la fede col sudore della fronte. Il confronto, semmai, è marcato dal passaggio – quanto involontario non è dato saperlo – tra il mestiere della pastorizia e quello della pesca, che in qualche modo dividono Vecchio e Nuovo Testamento: Abele era un pastore, Pietro un pescatore. Entrambi sono a stretto contatto con la terra e l'acqua, che da sempre rappresentano il destino dell'uomo che si guadagna il pane con la fatica, anche se le parole divine non prevedevano forse i tempi cupi dello sfruttamento e dell'arricchimento ladronesco.
Ma questi sono i nostri tempi, dilatati in una dimensione di confronto iniquo tra forti e deboli, ricchi e reietti. Il discorso affrontato con pacatezza da De Luca e Matino, che si dividono equamente il compito tra il mestiere del pastore e quello del pastore-pescatore, è quello di un passaggio epocale – in termini terreni e divini – in cui i mestieri cambiano in funzione della vicinanza al Verbo. Il pastore diventa pescatore perché la volontà divina spinge l'uomo di fede e la sua preghiera solitaria a muoversi verso una più aperta disponibilità al confronto, alla parola diffusa tra le genti per attirare nella rete cristiana l'intero popolo degli uomini che abitano la terra. Mestieri all'aria aperta, dunque, destinati a stabilire un passaggio di consegne divine: Gesù gioca con l'acqua e ne fa battesimo, la sua voce diventa quella dei suoi discepoli che abbandonano il pascolo per affrontare le onde e superare gli oceani. L'uomo è solo, debole e indifeso, ma nel lavoro e nella fede trova una via di salvezza: i mestieri antichi sono quelli più giusti, sembrano suggerire gli autori-commentatori, perché destinati a ripetere all'infinito la volontà di Dio.
Una testimonianza, quella di De Luca, che si presenta come un umile atto di devota sottomissione; un'interpretazione, quella di Matino, che raccoglie le antiche velleità umane di avvicinarsi al cielo con la fatica e il sudore, perché – oggi più che mai – gli umili cercano nella fede una risposta adeguata alle ingiustizie del mondo e dei suoi abitanti più potenti e dannosi.
Sergio Pent
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