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Un libro scritto male. Figlio di quello che, a detta delle stesse autrici nelle pagine introduttive, è stato un parto difficile, e si vede. Tralasciando la comprensibile ristrettezza del piano temporale trattato (d’altronde Katharine Park e Lorraine Daston di quello si occupano), il libro è accozzaglia di nozioni più o meno puntuali e contestualizzate, ma ineccepibilmente libresche. Il che è davvero una fortuna se andiamo ad analizzare poi alcune dissertazioni filosofiche, ridicolmente indimenticabili, un buon argomento di conversazione al pub con gli amici (come suggerisce il tono colloquiale del testo che trovo decisamente fuori luogo). Sinceramente, un libro senza cinocefalo né coda di mostro, rilegato da un filo narrativo, la meraviglia, che ossessiona impunemente fra aneddoti, considerazioni metafisiche e sociologiche degne d’un capiente cassetto. Personalmente, non ho apprezzato la traduzione di Ferraro e Valotti, pur non avendo avuto ampio accesso al testo originale edito da tale Zone Books. L’edizione statunitense che mi ha fatto rimpiangere la Carrocci per la qualità delle notevoli illustrazioni. Quest’opera ha vinto pure il Pfizer Award, magari non l’ho capita. Ma, capite voi: immaginate un grande mare mosso in cui galleggiano, appunto, meraviglie: vedrete un automa, un bimbo mostruoso, magari del fosforo luminescente, apparire e scomparire fino ad essere gettati dalle onde a riva. Passeggiando sulla spiaggia, vedendole, vi farete le stesse domande che d’inverno rivolgiamo ai tronchi e agli stani oggetti che arena il nostro mare: “Che cos’è?” “Da dove viene?” “Perché dovrei dare un esame su questo obbrobrio?” E il mistero continua.
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