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Con questo libro Elvio Fachinelli si avventura nella regione che, per la psicoanalisi tutta e innanzitutto per Freud stesso, fu la regione per eccellenza del pericolo, della minaccia, dell’ambiguità invischiante: l’estasi. Di questo percorso affascinante, esteso dall’esperienza personale a uno scandaglio in profondità di Freud e Lacan, Fachinelli scrive sobriamente:
«Frugo uno strato percettivo, emozionale, cognitivo, che è stato còlto perlopiù come un’area di frontiera, pericolosa dal punto di vista dell’affermazione di un io personale, ben individualizzato. Uno strato che forse proprio per questo è stato messo da parte nel corso dell’evoluzione dell’uomo detto civile. Sarebbe assurdo criticare o irridere questo accantonamento, che è stato una necessità per la maggioranza degli esseri umani.
«Si può dire, ora, che questa necessità viene meno? e che possiamo prendere in noi, che possiamo esercitare pienamente una disponibilità finora trascurata, ma non assente? Se si risponde di sì, allora l’estatico che nella nostra civiltà affiora di solito in esperienze liminari, facilmente ritenute insignificanti, o addirittura inesistenti, non è proprio di sperimentatori eccentrici, ma è ciò che manca alla nostra comune percezione. Esso può cominciare ad entrarvi, a patto di vincere i processi di isolamento e frammentazione, più che di vera e propria cancellazione, a cui è stato sottoposto sin qui. Si tratta di superare, in definitiva, il nostro generale disconoscimento dell’estatico, cogliendo in esso un momento originario di molteplici esperienze; probabilmente delle esperienze più creative nella vita umana. L’apex mentis, l’apice della mente secondo la definizione medioevale, ne è anche la base, e non può essere ridotto alla situazione mistica, che è soltanto una delle sue forme. Abbiamo dunque davanti un’esigenza antropologica, che sta a noi non perdere né sciupare».
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