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L’espressione “libro più atteso” è talmente abusata da essere svuotata di ogni valore, non importa se si parla del più atteso del mese, della stagione o dell’anno: il lettore avveduto tenderà a saltarla prima ancora di lasciarla approdare nel suo campo cognitivo. Si tratta di uno svuotamento tale da rendere necessario questo stesso preambolo, così da far capire che per una volta si parla sul serio.
È una vita intera quella attesa per il primo libro in prosa di Tommaso Lisa, padre occulto della scena letteraria fiorentina, già fondatore di una rivista storica come “Re:vista” e poeta sull’ancor più storica “Mostro”: lo si dava per ormai inattivo, preso solo dai suoi leggendari allevamenti d’insetti. Memorie dal sottobosco – un coleottero dei funghi (Exòrma) arriva così inatteso, come quando, fanciulli (giacché c’è stato un Tommaso Lisa in ognuno di noi), incappavamo in un moscon d’oro, in un bruco di quelli strani o in un ragno fuori dalle proporzioni ordinarie. Il libro di Lisa parla effettivamente di un coleottero (il peraltro piccolo, scuro, piuttosto anonimo Diaperis boleti, della vasta famiglia dei Tenebrionidi) ma appartiene a quella classe di libri, di cui un esponente nobile e recente è Economia dell’imperduto di Anne Carson col suo movimento a partire da certe poesie di Celan e certe altre di Simonide, in cui lo studio profondo – entomologico, appunto – di un soggetto apparentemente oscuro e minore apre fronti nuovi, non di rado mischiandosi con l’autobiografia. Che la vocazione letteraria sia dominante, lo si capisce del resto subito, quando Lisa, raccontando l’osservazione di un Diaperis boleti, si spinge a pensare “che dovesse essere davvero molto bello essere questo coleottero”. E Kafka muto, come si direbbe in una discussione online. È noto che non esiste un argomento abbastanza buono da poter essere trattato in qualunque modo, e così vale il contrario: se c’è la scrittura, anche un insignificante, minuscolo coleottero scuro può diventare la cosa più interessante al mondo.
Recensione di Vanni Santoni
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