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È un esempio di misura la lunga intervista che ha rilasciato Giugni, celebre giuslavorista, senatore per il Psi, bersaglio di un attentato delle BR il 3 maggio 1983. Giugni ricostruisce la sua esperienza allo scopo di chiarire i temi di una ricerca originale e fruttuosa. Al suo nome e a quello di Giacomo Brodolini, con il quale Giugni strettamente collaborò, è legato lo Statuto dei lavoratori: uno dei risultati più incisivi ottenuti dal difficile riformismo socialista. Ciò che non impedisce di esprimere un giudizio critico: "L'esito finale mi lasciò un po' perplesso: in me coesistevano l'anima del giurista e quella del politico". A proposito della sua formazione Giugni cita quattro classici: Bernstein, Salvemini, Croce e Turati. Si capiscono così la tensione revisionistica, il gusto del concretismo, il respiro liberale e la fedeltà a un socialismo non dogmatico. Le scissioni che via via hanno mutilato le schiere socialiste sono subite con sofferenza, a partire dalla rottura del 1947 di Palazzo Barberini: "Decidemmo di unirci al nuovo partito di Saragat perché ritenevamo che la maggioranza guidata da Nenni fosse succube del Pci". Oggi che si tenta di collocare la storia di Psi e Pci all'insegna di un più o meno consapevole e condiviso riformismo è utile ripercorrere, attraverso questa onesta autobiografia, momenti e fasi che suggeriscono analisi meno generiche e assolutorie. Le ostilità verso una visione combattivamente riformistica sono state nette e ricorrenti. I dodici discorsi parlamentari pubblicati in appendice attestano un punto di vista marginalizzato o ignorato. Emblematiche le argomentazioni svolte al Senato il 10 marzo 1993 su "mani pulite", allorché Giugni invitò i compagni del Pds "a superare quello strabismo che li fa sempre guardare a sinistra, anche quando dalla sinistra non c'è niente da cogliere o da imparare".
Roberto Barzanti
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