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È una delle numerose raccolte di dialoghi che Nisargadatta Maharaj era solito intrattenere con tutti quelli che, fino all’anno della morte, il 1981, lo andavano a trovare nel soppalco di un quartiere popolare di Bombay dove teneva i suoi satsang. Di Nisargadatta si può dire questo: che sia stato uno dei più diretti, ed efficaci, espositori dell’Advaita Vedanta, perfettamente ortodosso sebbene, a suo modo, estremo. Il maestro indiano, infatti, soprattutto negli ultimi anni del suo insegnamento, non aveva mezze misure. Posto che la Coscienza, secondo lui, era l’unico vero capitale di cui disponeva ogni essere individuale per attingere l’Assoluto, tutto il suo insegnamento, compreso quello contenuto in questo libro, può intendersi come un’esortazione a dimorare e a fissarsi appunto nella Coscienza universale, non prima di essersi distaccati dai limiti imposti dall’individualità, e da tale posizione privilegiata spiccare il volo verso l’ignoto e l’indicibile dell’Assoluto.
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