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Maximilen Rubel, nato a Cernovcy, in Bucovina, nel 1905 e morto a Parigi nel 1996, è stato uno dei più grandi marxologi del Novecento. Ragona ne restituisce una ricca biografia intellettuale, partendo dagli anni della formazione e ricostruendo il suo apporto alla conoscenza di Marx. Tornare ai testi del padre tedesco del socialismo per liberarsi dalle aporie del marxismo: questo fu l'orientamento che caratterizzò l'itinerario di studi di Rubel. La puntigliosa analisi marxologica ebbe dunque dei bersagli polemici ben precisi. In particolare l'Unione Sovietica. Rubel mise in luce, ad esempio, come lo zarismo, elevato dalla storiografia staliniana al livello della democrazia borghese, era stato per Marx il rappresentante più pericoloso della reazione in Europa, a cui gli stati capitalisticamente avanzati si sarebbero dovuti opporre risolutamente. Più in generale, il marxismo, frutto legittimo delle scelte e delle chiavi di lettura di Friedrich Engels, sviluppatosi poi nel corso del Novecento senza una conoscenza integrale dell'opera marxiana, non era stato affatto un prodotto intenzionale di Marx, il quale non aveva accettato il proprio culto onomastico, né di essere riconosciuto quale rappresentante di un corpo sistematico di idee. Marx critico del marxismo, recitava significativamente il titolo di una raccolta di saggi di Rubel, pubblicata nel '74. Il progetto marxiano, avvertiva l'autore, aveva avuto come obiettivo la scomparsa dello stato, passando attraverso la "dittatura del proletariato", intesa come forma di "democrazia radicale". Non certo l'autoritarismo su cui si sono fondati i regimi comunisti del XX secolo.
Giovanni Borgognone
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