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Quanta voglia e rimpianto di vita, nell’ultimo volume di poesie di Renzo Paris. A cominciare dal titolo, così propositivo e aurorale, per continuare poi nei temi affioranti in tutt’e quattro le sezioni scandite stagionalmente, che dalla primavera dell’infanzia arrivano alla «ridicola vecchiaia» dell’inverno. Sono ricordi, personali e collettivi: memorie familiari e sociali, percorsi di crescita culturale e politica. E sono paesaggi, istantanee folgoranti di città straniere o italiane (Mosca, Parigi, Marrakech, Helsinki, e l’amatissima Roma sempre più multietnica). Oppure amori, adolescenziali e maturi (la moglie Marina, amanti dimenticate o redivive, sconosciute esploratrici di Facebook); turbamenti sessuali e tentazioni trasgressive. E ancora i “cari fantasmi” che emergono dalle brume di un passato lontano ma affettuosamente rivisitato, con un sentimento di nostalgica riconoscenza (il mondo contadino dell’Abruzzo nativo, la madre, le maestre, i compagni di scuola, la gente semplice del paese; e poi gli amici poeti che non vivono più…). Una sorta di rendiconto morale, di dettagliato inventario su guadagni e perdite dell’esistenza, che però lascia aperti vitalissimi spiragli di progettualità e allegria, anche quando affronta la malinconia del tempo che passa, dello «stupore dell’ultimo tramonto», del distacco dalle persone e dalle cose amate: «Cara vita, che a poco a poco mi abbandoni», «Ho vissuto per ricordare e adesso // che la memoria si cancella, dove vado?». Le poesie di questa raccolta, tutte in terzine di vario metro, con rare indulgenze a rime, assonanze e calembour linguistici, sembrano ambire soprattutto a una chiara intenzionalità comunicativa, a una oggettività descrittiva che non lascia spazio a nebulose interpretazioni psicanalitiche: decise a rivendicare la propria prosaica adesione alla quotidianità dei gesti e dei sentimenti.
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