"Immaginate una fabbrica, una costruzione semplice, funzionale, realizzata a partire da uno scheletro metallico poi rivestito, oppure un edificio dall'architettura storicizzante, eclettica, che cita stili del passato e si presenta all'osservatore sotto forma di un castelletto. Pensate a una struttura modernista, concepita all'epoca delle Avanguardie secondo i dettami del Bauhaus, lo stile che le riviste del settore celebrano ancora oggi come l'ideale costruttivo degli anni venti, trenta e quaranta, oppure a un tipico fabbricato postmoderno in vetro e acciaio, in cui non si lavora più il ferro per attenerne acciaio, né si costruiscono gigantesche pompe idrauliche, ma si compiono processi produttivi automatizzati a controllo digitale, da cui scaturiscono lucidi pezzi in fibra di carbonio, scintillanti, leggeri e flessibili, destinati per esempio all'industria automobilistica. Se gettiamo uno sguardo sulla lavorazione attraverso le grandi finestre di questo edificio dalle dimensioni generose, vedremo che vengono prodotti a getto continuo, al ritmo di uno al secondo. Un tempo, il fotografo industriale ritraeva l'edificio con un procedimento laborioso e una fotocamera professionale, una macchina di grande formato con negativi 10 x12, 13 x18, 20 x 25 cm che potevano essere rielaborati e duplicati finché l'immagine della fabbrica non risultava perfetta, finché non riproduceva fedelmente quello che doveva simboleggiare: per esempio, il successo di un'azienda cresciuta per decenni fino a quando, in un determinato momento della sua esistenza - che poteva essere il cinquantesimo, il centesimo a il centocinquantesimo anniversario della fondazione - si era deciso di mostrare con orgoglio i risultati ottenuti, il livello di sviluppo raggiunto: il modo in cui era stata trasformata in un importante fattore economico per il piccolo centro abitato, la città, la regione circostante."
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