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MARY VERSUS MARY
a cura di Lilla Maria Crisafulli e Giovanna Silvani
pp. 335, Euro 24,50,
Liguori, Napoli 2001
"Mary contro Mary" è il titolo azzeccato di un convegno internazionale tenutosi a Bologna e Parma nel 1997, centrato sul rapporto intellettuale, letterario e personale di Mary Shelley con l'opera e l'ombra della madre, Mary Wollstonecraft. Personalità quanto mai divergenti, l'una calata nel clima illuministico e protofemminista di fine Settecento, l'altra romantica e visionaria, entrambe a lungo trascurate dalla critica ufficiale, madre e figlia raccontano di un dialogo ideale, intessuto nei circoli familiari cui appartennero e che contribuirono a formare. Il volume è diviso in cinque sezioni che ricalcano l'andamento del convegno, mettendo in risalto il contrasto, ma anche la continuità, che l'opera della figlia stabilisce con quella della madre, mentre rivendica la sua autonomia immaginativa e si cimenta nel difficile compito di liberarsi dalle presenze ingombranti sia del padre, William Godwin, che del marito, Percy Bysshe Shelley. Il confronto fra le due Mary offre spunti per riflettere sulle origini della scrittura femminile in ambito anglosassone, sul confronto fra femminismo rivoluzionario e femminismo romantico ("Gender e Romanticismo"), cogliendo i fermenti che segnano il passaggio fra Sette e Ottocento in importanti aspetti della nuova soggettività, come il culto della sensibilità e della melanconia (Mirella Billi, Laura Bandiera) e nelle trasformazioni di generi letterari quali il romanzo storico, il romanzo epistolare e il racconto di viaggio. Il volume offre dunque una rassegna aggiornata delle ultime tendenze critiche su Mary Shelley.
La romantica autrice di Frankenstein, apparentemente aliena a qualsiasi interesse per le cause riformatrici, si rivela invece "mite e sfrontata" paladina di cause liberali - a iniziare da quella del Risorgimento italiano - e antesignana del dissenso ottocentesco (Betty Bennet, Nora Crook).
Alle opere meno note viene dato il debito risalto. In The Last Man, romanzo distopico centrato sul mito dell'ultimo uomo, si coglie una continuità con la letteratura millenaristica e giacobina, nonché un'anticipazione di teorie sul tramonto dell'Occidente, prodotto dalla forza "altra" del lusso, che stravolge e disumanizza, effeminandola, l'identità europea (Diego Saglia), forse con un occhio alle figurazioni eroiche di despoti orientali di derivazione byroniana e con interessanti anticipazioni sul "tramonto dell'Occidente". Gli intrecci trasgressivi degli anni byroniani si ripetono nella gestazione di Lodore, romanzo ibrido, nel quale Mary, sulla scia di Edward G. Bulwer-Lytton, inventa un tipo di personaggio anticonvenzionale che venne definito, al tempo, una "anomalia morale" (Richard Cronin).
Chi pensava che il Frankenstein fosse il prodotto geniale e fortuito di una contesa fra artisti sregolati dovrà correggersi, prendendo sul serio il contesto dell'esperimento di Victor Frankenstein, per scoprire, nella sottigliezza della scrittura, un mondo morale modellato sui principi della scienza chimica contemporanea, e animato da un processo infinito di attrazione e repulsione nel quale tutti i negativi possono scambiare le loro polarità (Stuart Curran). Avvicinando così Mary Shelley ai temi trattati nello studio recente di Jean Starobinski, Azione e reazione (Einaudi, 2001), ci accorgiamo allora che la sua invenzione geniale rielabora in senso dinamico la figurazione gotica del doppio animandola di un ambivalente slancio vitale (Claudia Corti).
L'insistenza sulla polarità riappare con forza nelle rivisitazioni filmiche del mito cui il volume dedica largo spazio. "Mary e i suoi mostri" non smettono di reincarnarsi riaffiorando poi nelle versioni romanzesche di due autori scozzesi contemporanei, in un pastiche esilarantemente postmoderno (Valentina Poggi). Se lo Scienziato e la sua Creatura non sono che doppi affini, sottoposti allo stesso processo di "elezione", in cosa consisterà allora la "mostruosità"? Forse nell'assurda pretesa di coniugare esperienza e innocenza (Paola Colaiacomo) che si affaccia qui, come nel grande poemetto di Coleridge The Rime of the Ancient Mariner, come archetipo di tante future figurazioni. O, ancora, nella mostruosa ingenuità (di cui l'orribile Creatura è metafora) che cerca nel linguaggio umano una fantasmatica trasparenza comunicativa? La "mostruosa immagine" rimanda dunque anche all'attualissimo dibattito sull'artificiale.
È nel suo capolavoro, infatti, che si concentrano le tensioni letterarie, intellettuali e psicologiche che fanno da perno unificante sul quale ruotano i saggi del volume, quel caso giudiziario di Mary versus Mary, che ci ha regalato le immagini più fosche di un'ossessione infinita, nella sua ciclica ripetizione di trasgressione e condanna, persecuzione e sottomissione.
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