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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2019
Rachel Kushner, l'autrice da piú parti indicata come l'erede di Don DeLillo, ha scritto il suo capolavoro: un romanzo sulla violenza della bellezza, sull'ossessione delle nostre società per la punizione, sul sogno americano che dalle praterie sconfinate si ribalta nel chiuso di una cella o di una capanna, sulle sconfitte degli ultimi e sulle loro vittorie.
«Kushner è ormai una maestra. Sinceramente non so come faccia a sapere cosí tante cose e a trasformarle in romanzi tanto avvincenti e affascinanti». - George Saunders
«Kushner fa i conti con Dostoevskij e le sue idee sull'innocenza e il male. Mars Room incede come una muscle car, rombando sulle autostrade della tua mente». -The New York Times
« Mars Room merita di essere letto con la stessa quantità di passione, amore e umanità con cui è stato scritto». - Publishers Weekly
Un cellulare della polizia percorre le strade deserte nella notte californiana. Le detenute vanno trasferite quando cala il buio, per tenere distante dagli occhi della gente perbene quel branco di ladre, mogli assassine e madri degeneri. Romy Hall è seduta a bordo, e cerca di farsi gli affari suoi: una delle prime regole che s'imparano in prigione. Di lei non sappiamo molto. Sappiamo però che ha ucciso un uomo e per questo è stata condannata. È successo quando faceva la spogliarellista al Mars Room. Alcuni clienti optavano per il «pacchetto fidanzata» e uno di loro, Kurt Kennedy, si era convinto che lei fosse davvero la sua fidanzata, maturando una gelosia ossessiva e perversa. Romy era scappata a Los Angeles, ma non sembrava esserci modo di fuggire davvero da quell'uomo. Anche se nessuno ha ascoltato la sua versione, Romy è rassegnata ad abbandonarsi agli ingranaggi crudeli di una giustizia vendicativa, paternalista e violenta, pronta a abbandonarsi al suo destino come già faceva nella sua giovinezza randagia e disperata, romantica e perduta. Finché un giorno, anche lí, in fondo all'inferno in cui è precipitata, arriverà una notizia che cambierà tutto…
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non sarà uno dei miei libri preferiti, ma lo consiglio (soprattutto a chi ha amato Orange is the New Black).
Definita l’erede di Don DeLillo condivide con il grandissimo scrittore una scritta davvero molto bella e personale. Ha un suo modo unico di raccontare gli eventi, attraverso uno stile che sembra distaccato e invece ribolle nei contenuti, peculiarità che può o attrarre spaventosamente il lettore o lasciarlo indifferente o quasi in disaccordo. Personalmente mi è piaciuto moltissimo il suo modo di raccontare la vita delle persone nelle prigioni americane, dove non esiste alcuna possibilità se non sei benestante e puoi "pagare". LA LEGGE NON E’ UGUALE PER TUTTI, perché se non hai il giusto avvocato tutte le tue motivazioni o attenuanti non saranno nemmeno espresse, se non sei una “brava persona” con un buon lavoro, che gira ben vestita non puoi essere utile ad una società così profondamente classista a livello economico, non esisti, non sei nessuno e come nessuno puoi tranquillamente sparire all’interno di una prigione come un novello Edmond Dantès ma senza sete di rivalsa o gloria imperitura nel tuo ritorno eventuale nel mondo libero. Narra di personaggi reali e convincenti al punto che ti chiedi se non abbia conosciuto bene queste persone, ma il bravo scrittore non fa proprio questo? Si infila in vite che non conosce e le rende reali. Consigliatissimo è proprio bello, punto.
Ho lasciato a pagina 215/330 perché ho perso la pazienza con i troppi personaggi; a pagina 200 continuavano ad aggiungersi di nuovi, appena abbozzati. Credo che questo è stato il motivo principale oltre alla frammentazione della trama che io ho trovata esagerata. Mi è un po' dispiaciuto perché l'argomento principale mi sembra interessante ed umano. Altra pecca: descrizioni non di mio gradimento, il nome del locale e della strada non mi basta visto che a San Francisco non ci sono mai stata. I personaggi li ho trovato poco approfonditi, non sono riuscita ad empatizzare con nessuno, considerando anche la narrazione da vari punti di vista.
Recensioni
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IL RIFUGIO DELL'IRCOCERVO - letterature, mondi e animali mitologici
A undici anni decisi di uccidere il mio compagno di banco. Odiavo i suoi piccoli soprusi: mi prendeva il righello senza permesso e non lo restituiva neanche dopo numerose intimazioni – fingeva di non sapere che i miei pensieri giravano notte e giorno intorno al mio righello chiuso nel suo astuccio: ero convinto che ne godesse. Lo odiavo. E l’avrei ucciso. Non era solo una fantasia, c’era progettualità; avevo calcolato la distanza dalla finestra, la mia altezza superiore, avevo messo in conto la forza della rabbia. Le conseguenze di quel gesto mi sembravano irrilevanti: ciò che contava era, per una volta, far capire al mondo che sapevo reagire, che non ero un fesso.
Ero cattivo? No. Ero vittima di una incapacità, del carattere che mi sarei portato dietro per tutta la vita. Ero vittima di una circostanza. La cattiveria è questo, alla fine, una questione di circostanze: il problema non sei tu, il problema arriva quando incontri il contesto sbagliato. Poco conta quello che scegli: chiedete conferma al Meursault di Camus. Potete chiedere anche alla Romy Leslie Hall dell’ultimo romanzo di Rachel Kushner. Vi dirà le stesse cose.
Vi dirà che non è colpa sua se ha ucciso un uomo. Non è colpa sua se quell’uomo la perseguitava; lei cercava solo di proteggere se stessa e suo figlio. Al sistema basta questo, però: il comportamento sbagliato – non conta la confusione che hai in testa, solo ciò che fai. Non sei cattivo tu. Sono cattive le tue azioni, appena le circostanze lo decidono. Ma il codice penale elenca dei fatti: se li compi, finisci in carcere. Funziona così, che ti piaccia o no. Romy può testimoniarlo.
Adesso che è in prigione cercano di rieducarla. Lei non ha niente da imparare. Come tutte le sue compagne di cella: Laura Lipp, Conan, Bocciolo, Sammy. Sta lì, a scontare due ergastoli, e l’unica cosa che sente è la disperazione di non poter riabbracciare suo figlio – gliel’hanno tolto, non lo vede da quattro anni e probabilmente non lo rivedrà più. Da una pagina all’altra la osserviamo crescere, fondersi con il penitenziario di Stunville, e non cambiare.
Quando arriva, la luce porta il nome di Gordon Hauser. È uno che viene in carcere per insegnare letteratura alle detenute. Romy si avvicina a lui, accetta i libri che le procura, gli fa le richieste più illecite per metterlo alla prova – chiede una tronchese, lui gliela porta. Capisce che si è innamorato di lei. E inizia a sognarlo, allora, come futuro padre di suo figlio. Come uno che finalmente potrà prendersi cura di loro. Perché ce n’è di persone brave in giro, le dice una volta Sammy. Persone brave per davvero. Quando le trovi, sta a loro cambiarti la vita.
Mars Room parla di questo. È un romanzo dalla lingua bollente. Dalla struttura irregolare – a volte scomposta, troppo. È, soprattutto, un romanzo di profondità intellettuale. Un ampio gesto di generosità creativa: non si limita a essere crudelmente realistico – come Don DeLillo, il grande maestro di Rachel Kushner, insegna – ma sa anche racchiudere nell’indagine sociale la lettura privata, esistenziale, di ogni prigione. La prigione intesa come sistema carcerario, innanzi tutto, che negli Stati Uniti come in tutto il mondo non funziona – a partire dall’incapacità di catalogare un uomo che diventa donna: la Serenity Smith che scatena l’epilogo del romanzo.
Ma anche intesa come prigione della mente: le infinite gabbie intime in cui ogni uomo è rinchiuso senza possibilità di rilascio. Che ci intrappolano in ciò che siamo. Che impediscono a Gordon Hauser, al suo mondo borghese di frequentazioni intellettuali e riflessioni su Thoreau, di entrare davvero in empatia con il mondo tutto diverso di Romy: il passato nella droga, il locale dove ballava mezza nuda. Di salvarla. Gabbie che ci trattengono nell’aiutarci a vicenda, o che ci costringono a fare del male. A volte possono precludere ogni altra scelta, ogni scelta normale, socialmente accettabile, lasciando la sola possibilità di un gesto drastico – cattivo. L’unica via, se si vuole sopravvivere.
(A volte. Il mio compagno di banco, per dire, è ancora vivo. E io, per il momento, sono ancora tra i buoni.)
Pierpaolo Moscatello
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