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L’astronauta statunitense Eugene Cernan fu l’ultimo uomo a camminare sulla Luna, dove era atterrato a bordo della capsula Apollo 17. Era il dicembre 1972. Mario Schifano annota, fotografa: In diretta dalla luna. Alberto Boatto racconta che un bel giorno (del 1970) Schifano si era procurato diversi televisori, tutti uguali, e ne aveva installato uno in ciascuna stanza del suo appartamento, sintonizzandolo su un diverso canale. Indifferente e ossessivo, Schifano trattiene con la Polaroid frammenti su frammenti di quella poltiglia di immagini. Perché fotografare il mondo se si può fotografare lo schermo di una televisione accesa e sintonizzata su qualsiasi cosa, su tutto, sul tutto? L’artista non sceglie; in fondo non gli interessa la potenziale misura monumentale della nuova icona mediatica, fatta propria da Warhol, ma il ritmo dell’immagine. Un ritmo che non si era mai visto, nemmeno al cinema, formicolante e omnicomprensivo, seriale, diffuso, automatico, infaticabile ed equidistante. La monografia presenta una selezione di opere realizzate negli anni 1973-1974, (Televisori, Futurismi rivisitati, le insegne della Esso, ma anche alcune grandi Coca-Cola, Oasi e Paesaggi anemici), che completano l’itinerario nella ricerca artistica di Schifano in quel periodo di crisi personale, ma anche di importante e solitaria riflessione sulla nuova cultura dell’immagine nata dalla televisione e destinata a stravolgere definitivamente la sensibilità complessiva di un’epoca. Quelle di Schifano sembrano premesse di ciò che, nei decenni successivi, sarebbe stato esasperato da una società dei consumi sempre più scellerata e superficiale. Mario Schifano (1934-1998) è unanimemente considerato uno dei più importanti, trasgressivi e originali artisti italiani, nume tutelare della Pop italiana e uno dei pochissimi interpreti del moderno, capace di trasformare la pittura in interprete d’eccezione della civiltà dell’immagine mediatica e tecnologica e non il contrario.
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