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Leggi un romanzo così e pensi che il Nobel sia strameritato.
Ogni tanto è bello riavvicinarsi ai classici, anche se lo stile non contemporaneo per qualcuno all’inizio può apparire un piccolo ostacolo e rendere la lettura un poco noiosa. Ma poi, pian piano, si viene catturati dal racconto, dall’atmosfera, da un linguaggio meno banale di quello contemporaneo ma più ricco e profondo, da una scrittura che non vuole essere piatta e subito pronta per una trasposizione televisiva, bensì capace di descrivere paesaggi ed emozioni, strettamente correlati tra loro, con la sola forza delle parole. Così come è bello scoprire le opere meno famose dei maestri della letteratura. Se della Deledda molti ricordano Canne al vento, è bello allora avvicinarsi a Marianna Sirca, ritratto di una donna forte, “letteraria”, e calata in una Sardegna ancestrale, che pare quasi immobile e selvaggia, una Sardegna in cui uomo e natura convivono in un’osmosi forte e inscindibile. E' una storia d’amore che riprende molti temi deleddiani, in primis la forza e l’ineluttabilità del destino e la rigidità delle gabbie sociali. Un libro nel quale forse il lettore di oggi fatica ad entrare all’inizio, ma che poi avvince, regalando un finale indimenticabile, dal sapore arcaico ed eterno, e la certezza che il lettore porterà questi personaggi per sempre con se.
Marianna Sirca è una giovane di origini umili, che diventa ricca per l'eredità di uno zio. Si innamora di Simone Sole un bandito che deve saldare il proprio debito con la giustizia; un rapporto d'amore avventato e avversato che sfocia nell'incomprensione e finisce nella tragedia. Scritto nel 1915, è ambientato tra i monti e i boschi aspri e selvaggi di una Sardegna arcaica e profondamente imbevuta dei valori e della cultura della società contadina. Un finale malinconico. Sono presenti e vivi i temi deleddiani del destino, della sopraffazione e dell'aspirazione alla felicità. Uno stile narrativo leggero, semplice e ricco e una lettura piacevole.
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