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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2006
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Banville si rivela impietoso riguardo alla natura umana. Non nasconde bassezze e pulsioni violente, anche nell’ambito della presunta innocenza dell’infanzia. Soprattutto, mostra come sia impossibile conoscere davvero un’altra persona, a corollario dell’impossibilità di arrivare a comprendere a pieno se stessi. La perdita è un’esperienza inevitabile e gestirla è una prova complicata, talvolta tanto ardua da spingere all’autodistruzione. La memoria procede per associazioni e inevitabilmente trasfigura e mistifica, raramente trova riscontro nella realtà della ricostruzione. Fuggire nel passato offre l’illusione di un malinconico rifugio che può trasformarsi in trappola. La materia è densa e grava sul lettore, confortato da una scrittura che non teme di essere letteraria, con scelte lessicali desuete e talvolta stranianti, capace di muoversi con efficacia su diversi piani temporali e di evocare paesaggi perduti dell’Irlanda di provincia o suggestivi riferimenti pittorici.
Non bisogna farsi influenzare dal titolo, ma piuttosto dalla copertina: in questo libro non si parla di estate e vacanze all’insegna del divertimento, ma di introspezione, morte e malinconia. Max Morden ritorna al luogo di villeggiatura della sua infanzia e racconta muovendosi tra passato e presente la relazione con la moglie parallelamente a episodi delle sue vacanze estive da preadolescente. Anche se a volte il senso di oppressione e profonda tristezza sommato all’uso di termini inconsueti fa risultare la lettura pesante, John Banville è in grado di catturare il lettore immergendolo nei pensieri del protagonista, tanto che sembra quasi di respirare l’aria fresca e salmastra che Max descrive.
L'autore tratta i temi piu' importanti della vita umana ( il primo innamoramento, la malattia, la morte…..). La scrittura e' magistrale.
Recensioni
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