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Il romanzo è scritto bene, lo stile resta senz'altro impresso, purtroppo si fatica a finirlo, pur nella sua brevità, manca purtroppo un plot che coinvolga, i personaggi sono poco convincenti, sbiaditi, e anche l'ambientazione d'epoca non entra nel quotidiano fornendo più che altro un quadro da vecchie figurine Liebig. Peccato.
il solito mid-cult presentato come letteratura (uff...), aggravato da personaggi poco credibili e di notevole antipatia. abbandonato a metà circa.
Per carità, l'intento è sicuramente da lodare. La storia e gli ambienti descritti hanno il fascino del tempo perduto e le emozioni affiorano via via. Però lo stile - pur irreprensibile - ha un che di "vecchi merletti" cosicché l'insieme non funziona ed il percorso narrativo spesso e volentieri si perde un po' nella noia.
Recensioni
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Finalista Premio Strega 2013. Dopo Dove eravate tutti, Paolo Di Paolo torna a interrogarsi sulla giovinezza e sul presente. Stavolta lo fa immergendosi negli ultimi giorni di vita di una grande figura del nostro passato recente, Piero Gobetti, intellettuale e politico antifascista, morto giovanissimo a venticinque anni a causa di una salute precaria aggravata dalle persecuzioni fasciste.
Nel nuovo romanzo di Paolo Di Paolo due giovinezze si intrecciano tra Torino e Parigi all'inizio del 1926: quella di Moraldo e quella di Piero.
Moraldo è appena arrivato a Torino per una sessione di esami e giunto alla pensione familiare in cui alloggia si accorge di aver scambiato la valigia con quella di uno sconosciuto. All'interno c'è una macchina fotografica, una copia de l'Illustrazione italiana, una boccetta di profumo. Grazie a un annuncio sul giornale, riesce a ritrovare la valigia smarrita e subito si infatua della proprietaria della valigia scambiata, Carlotta, una fotografa intraprendente che sta per partire per Parigi.
Intanto Moraldo segue Piero, un coetaneo che a venticinque anni ha già fondato riviste, una casa editrice e scrive con passione contro il fascismo, espressione di tutti i mali dell'Italia, invocando una rivoluzione liberale che liberi il Paese. Moraldo ammira questo giovane e vorrebbe incontrarlo, ma tutti i tentativi che fa per avvicinarlo falliscono. In realtà Piero non è più a Torino. È già partito alla volta di Parigi, intenzionato a portare avanti il lavoro che in Italia gli è impedito. Ma a Parigi si ammalerà di nuovo e vi morirà a metà febbraio, lasciando in Italia la moglie tanto amata e il figlioletto di pochi mesi. Allo stesso tempo anche Moraldo sta per raggiungere la capitale francese sulle tracce di Carlotta...
Mandami tanta vita è un omaggio a un passato di grandi ideali e una riflessione profonda sul presente. Attraverso la figura di Piero Gobetti, la cui passione ardeva nonostante un destino ingrato, Paolo Di Paolo interroga se stesso, il suo rapporto con il presente, e sembra volerci ricordare che la forza per reagire ce la portiamo dentro. Vale la pena ricordare quello che Gobetti aveva scritto pochi mesi prima di morire, dopo essere stato picchiato nuovamente dagli squadristi: "le nostre malattie e le nostre crisi di coscienza non possiamo curarle che noi. Dobbiamo trovare da soli la nostra giustizia". Seguendo l'esempio di Gobetti, oggi Paolo Di Paolo si chiede e ci chiede se è ancora possibile l'impegno, se si può essere liberi senza andarsene. La risposta a tutte le domande di cui è pieno questo suo ultimo romanzo forse la troviamo già all'inizio, affidata ai pensieri di Ada, la moglie di Piero: "Basta volerle le cose, no? Basta infinitamente volerle".
A cura di Wuz.it
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