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L'informazione che ci giunge dai paesi più lontani rischia di smarrirsi in un rumore di fondo sempre uguale, in un'indifferenza provocata dall'uniformità, dal fatale ripetersi degli stessi orrori, delle stesse carestie, delle medesime stragi. Diviene presto ripetizione, e conduce all'impotenza, alla sterilità del reporter e alla completa assuefazione dell'opinione pubblica, posto che ne esista ancora una. Troppi anni di guerre, di repressioni, di logiche imperiali che offrono, nelle rispettive sfere di influenza, la totale impunità e l'assenza di reali testimoni: tutto questo rende la parola dei giornalisti priva di suono, di peso, di reale impronta nella realtà.
Il libro di Giampaolo Visetti, che raccoglie i pezzi scritti nell'arco di cinque anni per "la Repubblica", dall'Africa e dal profondo Est dell'Europa (sino al Caucaso e all'Asia centrale), cerca di opporsi a questo destino di indifferenza e di silenzio, muovendo da una forte premessa umanistica e gettando sulle cose uno sguardo morale, una capacità di giudizio che superi le contingenze, sino a scorgere i calcoli crudeli che reggono gli eventi, e a denunciare ad alta voce le forze che operano per estendere il proprio potere e conservare il proprio arbitrio. Secondo l'autore, le linee che tracciano il presente partono da lontano, dagli abissi toccati dall'umanità nel corso del Novecento: il genocidio del popolo ebraico, il genocidio turco degli armeni, il gulag staliniano, le stragi serbe in Bosnia sono stati gli spartiacque storici della contemporaneità, il serbatoio misterioso del male. In Africa, dopo lo schiavismo e la ferocia coloniale, la rapina liberista degli ultimi anni moltiplica i massacri e la povertà: la fine della guerra fredda ha liberato, paradossalmente, le stragi razziali e le guerre civili regionali, scatenate da piccoli dittatori avidi di materie prime, che perpetuano il destino di un continente considerato ancora soltanto come un serbatoio di energia, uno sterminato bacino di ricchezze naturali.
Resta poi il grande affresco dei paesi ex sovietici: secondo l'autore, è un mondo in sé, e assimilarlo in uno schema di comunità internazionale resta pericoloso; le due ultime generazioni hanno assorbito il trauma spaventoso della fine di un'epoca, sfociata in un liberismo economico di assoluta crudeltà, che ha distrutto le garanzie sanitarie e sociali accumulate in settant'anni e abbassato nettamente la speranza di vita. La Russia sta cercando di consolidare, sotto l'autorità dei siloviki di Putin, i frutti delle razzie economiche dei tempi di Eltsin e la pax mafiosa degli oligarchi locali: le voci dissidenti vengono spazzate via senza pietà, come nel caso dell'eroica giornalista Anna Politkovskaja e di altre decine di giornalisti e avvocati che credevano in uno stato di diritto; la grande palude di orrori della Cecenia è stata ricoperta affidandola a un satrapo locale con diritto di vita e di morte, mentre il Cremino cerca di arrestare l'energia delle cosiddette "rivoluzioni a colori", sviluppatesi in Ucraina, Georgia e Kirgizistan con l'aiuto determinante dei dollari americani, nel tentativo di allargare l'influenza Nato a paesi di tradizionale orbita sovietica.
Sullo sfondo di tutto questo, l'umanità delle vittime, degli sconfitti, dei dimenticati: è a loro che l'autore affida la storia scritta dai vincitori, è con loro che è necessario confrontarsi per scorgere l'autentica realtà delle cose.
Giovanni Catelli
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