“Mahahual ha i ritmi sonnacchiosi di sempre: il Messico come l’ho conosciuto trent’anni fa” Dove finisce la penisola dello Yucatán, a pochi chilometri dalla frontiera con il Belize, all’estremo di tutto, c’è un paesino di mille abitanti, Mahahual. Angolo di paradiso tra palme e mangrovie, di fronte ha la barriera corallina seconda al mondo per estensione, il Mar dei Caraibi e lo scorrere lento del tempo. Siamo nello stato del Quintana Roo: a nord si allunga bianca di sabbia e di alberghi la celebre Cancún, mentre qui il cemento non ha ancora globalizzato l’immaginazione e si vedono casupole, palafitte e piccoli hotel con il tetto di palme. Un’insidia c’è, e viene dal mare: è la plastica che, per un capriccio delle correnti oceaniche, arriva lì da tre continenti. Ma anche di fronte a questa emergenza ci sono centinaia di volenterosi che, all’alba, ogni giorno, in un incessante “mito di Sisifo”, la raccolgono, rendendo le spiagge splendidamente bianche e pulite. Il “paradiso” Mahahaul va insieme, come sempre accade nel Messico di Pino Cacucci, alle storie e alle leggende della terra di cui la piccola città sul mare è un segmento azzurrissimo. Ecco allora i corsari che lì ingaggiarono sfide mortali con i dominatori spagnoli, ecco i fieri maya che non si lasciarono assoggettare da nessuno dei contendenti stranieri. Una volta di più, Cacucci solleva la “polvere del Messico” e aggiunge una storia alle storie, una città alle città, un segmento di realtà. )
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