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Madre Solitudine - Émile Ollivier - copertina
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Dettagli

1999
1 marzo 1999
166 p.
9788879108690

Voce della critica


recensioni di Pessini, A. L'Indice del 2000, n. 02

Émile Ollivier, Madre Solitudine, ed. orig. 1983, trad. dal francese di Maurizio Ferrara, pp. 161, Lit 25.000, Lavoro, Roma 1999

Tutto nasce, quasi come in un romanzo giallo, dal desiderio di un figlio, Narcès Morelli, di scoprire la vera causa della morte della madre, impiccata sulla pubblica piazza davanti a centinaia di persone, circa dieci anni prima, per aver ammazzato con un colpo d'arma da fuoco Tony Brizo, capo della milizia urbana e del penitenziario di Trou-Bordet - città che ricorda inequivocabilmente Port-au-Prince, capitale di Haiti - dove si consumano tutte le torture e le vessazioni subite dagli oppositori al regime. Narcès, narratore e personaggio, ha vent'anni all'inizio del romanzo, e la sua instancabile e meticolosa ricerca lo condurrà a ricostruire, tassello dopo tassello, non solo la sua storia personale e quella della famiglia Morelli ma anche la storia della sua isola. In questo viaggio a ritroso è accompagnato dall'anziano e fedele servitore Absalon Langommier, personaggio fuori dal tempo, che sembra aver attraversato i secoli portando con sé le leggende e i segreti dei Morelli. Questi ultimi, discendenti di una famiglia italiana, arrivano
a Trou-Bordet poco dopo lo sbarco di Cristoforo Colombo; gli antenati di Narcès - Démétrius, Juan, Joseph, Nicolas, Paracelse - fanno ogni volta rivivere al lettore, anche se brevemente, un periodo preciso della storia di Haiti, come la lotta per l'indipendenza, il regno di Faustin Soulouque, o gli anni bui della dittatura dei Duvalier.
I Morelli occupano dunque tutto il romanzo; sono a volte schierati dalla parte del potere, di cui hanno saputo sfruttare i vantaggi (e per loro la tratta degli schiavi, il mercato di carne umana, fu una grossa fonte di guadagni), ma li ritroviamo anche difensori dei diritti dei contadini con Gabriel Morelli pronto a sacrificare la propria vita per una giustizia che a Haiti si rivela però spesso precaria. L'ambiguità della famiglia Morelli riflette quella del paese. Émile Ollivier si sofferma più a lungo sulla storia recente. Ci presenta le vicissitudini di Astrel (nonno di Narcès), di sua moglie, ma anche dei loro cinque figli: Eva Maria che impazzisce e scompare dopo essere stata sequestrata dalla polizia; Noémie, madre di Narcès; Hortense che, dopo la morte della madre, prenderà le redini della casa per poi sprofondare nell'alcolismo; Gabriel, giornalista prima esiliato, poi imprigionato, e che non ritroverà la libertà se non grazie al sacrificio di Noémie, e infine Nicolas, il più giovane, che si immola col fuoco dopo aver involontariamente consegnato il fratello a Tony Brizo. La famiglia Morelli sembra così segnata da un destino crudele, dalla morte, dalla decadenza e dalla follia, trincerata in quella grande casa-bunker in cui gli abitanti della città esitano ad avventurarsi per superstizione, per paura di essere contaminati da quell'alone misterioso che circonda la dimora.
Basti pensare a certi fatti strani mantenuti vivi nel corso dei secoli dalle dicerie popolari, o a certi poteri di cui alcuni membri erano dotati, come "Juan Morelli [che] poteva camminare sotto un filo di ferro i giorni di grande pioggia senza bagnarsi" oppure "Mario Morelli [che] nacque vecchio e diventò bambino man mano che cresceva". Molti episodi riguardanti i Morelli sono frutto di voci che corrono, alimentate dalla fantasia popolare e da un'inestinguibile sete di meraviglioso, ed è proprio qui che si ritrova il volto haitiano del romanzo, dove l'esuberanza della parola orale sembra sopraffare quella scritta. Lo scrittore diventa semplicemente - per dirla con lo scrittore martinicano Patrick Chamoiseau - un "marqueur de paroles" che trascrive le numerosi versioni che si raccontano dello stesso fatto (pensiamo qui alle tre scuole di pensiero popolare che si affrontano sul rapporto fra i Morelli e il loro servitore Absalon) per rendere una realtà caraibica dove la verità non è mai unica e inconfutabile ma nasce dal molteplice e dalla mescolanza.
Al di là della dimensione romanzesca, Madre Solitudine si legge anche come una sorta di manifesto per la salvaguardia di un paese, Haiti, che è stato dominato e saccheggiato dalla colonizzazione, dall'occupazione americana e dal susseguirsi al potere di giunte militari sanguinarie. Madre Solitudine funge da preziosa mappa per guidarci attraverso la storia ma vive anche delle mille storie della vita quotidiana degli haitiani, delle loro pratiche religiose vudù, e la descrizione del carnevale offre al lettore un efficace spaccato di vita caraibica. Il racconto delle vicende dei Morelli interessa l'autore solo perché specchio che gli permette di scavare come un archeologo (figura molto cara a Ollivier, e la si ritroverà sotto le vesti di Adrien, protagonista del romanzo del 1995 Les Urnes scellées) nella storia, negli archivi, nella memoria popolare per far emergere un immaginario collettivo. "Ricordo" e "memoria" sono incontestabilmente le due parole chiave di Madre Solitudine, memoria dell'autore, memoria di Absalon, memoria di una famiglia, memoria di un popolo che ha sempre corso il rischio di essere cancellata.
La prima opera di Émile Ollivier tradotta in italiano è forse il suo romanzo più ricco e più complesso dal punto di vista delle scelte narrative e della complessità degli intrecci; rientra tuttavia perfettamente nell'insieme più vasto degli scritti di Ollivier che si concentrano attorno a tematiche che accomunano quasi tutti gli scrittori haitiani in diaspora: la ferita dell'esilio, il ritorno, la conservazione delle proprie origini e il ruolo del-
la scrittura in questi processi. Ogni romanzo di Ollivier si sofferma su una o più sfaccettature di questi interrogativi con uno stile ricco, vivace e generoso di immagini, di metafore, di colori e di dismisura. Anche se i suoi romanzi sono redatti nella fredda città di Montreal, il loro linguaggio li colloca nel vasto ambito della letteratura caraibica, dove al di là delle lingue impiegate si delinea un immaginario comune.

Ollivier chi è?
Émile Ollivier, haitiano d'origine, è nato a Port-au-Prince il 19 febbraio 1940. Lì ha trascorso i primi venticinque anni della sua vita e si è laureato in filosofia - materia che ha insegnato nella vicina Pétionville. Nel 1965 la dittatura di Duvalier lo costringe all'esilio: sceglie la Francia, dove, per mantenersi, dice di aver fatto trentasei mestieri, ma riesce anche a ottenere alla Sorbona un Certificato di studi letterari. Un anno dopo approda in Québec, dove pensa di essere solo di passaggio - giusto il tempo per riprendere fiato. Ma in realtà vi rimane fino a oggi, svolgendo la sua attività di professore prima ad Abitibi e, dal 1968, a Montreal. Nel frattempo prosegue gli studi, e nel 1980 ottiene un dottorato in sociologia. Oggi è docente di scienze dell'educazione dell'Università di Montreal; e in questa materia ha pubblicato diversi saggi, in particolare sull'educazione degli adulti, l'integrazione degli immigrati e l'identità culturale.
Il suo esordio nella letteratura avviene con una raccolta di novelle intitolata Paysage de l'aveugle, dove sono presenti
i due spazi di cui Ollivier non potrà, da allora in poi, più fare a meno: lo spazio d'origine (in questo caso la Haiti dei Duvalier) e lo spazio d'esilio, il Canada,
il Québec. È però il romanzo Mère-Solitude, del 1983, che lo fa conoscere al grande pubblico, ottenendo anche il premio Jacques Roumain attribuito dalla rivista "Étincelles". Segue, nel 1986, un secondo romanzo, di tono più leggero, nel quale Ollivier può dare sfogo alla sua vena umoristica, al suo grande talento di "conteur", presentando una storia gioiosa in cui quattro adolescenti di una cittadina di provincia haitiana osservano un uomo e una donna in perenne guerra di vicinato per accorgersi poi che l'odio non era che una forma dell'amore, come a dire che la verità va cercata oltre le apparenze. Gli altre due romanzi, Passages (1991) e Les Urnes scellées (1995), gli valgono rispettivamente Le Grand Prix du Livre de Montréal e Le Prix Carbet de la Caraïbe. Con queste opere Ollivier torna a interrogare il destino degli haitiani continuamente segnato da partenze forzate e da impossibili ritorni, a cominciare dalla prima grande ferita che fu quella della tratta degli schiavi. Infine, con Mille Eaux, che l'editore Gallimard inserisce nel 1999 nella sua collana "Haute Enfance" dedicata alle autobiografie, è venuto il momento per l'autore di interpellare il proprio passato, la propria memoria per salvare dall'oblio un'infanzia, una Haiti, che i viaggi di ritorno, ora di nuovo possibili, non riescono a restituire.

(A.P.)

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La recensione di IBS

Il ventenne Narcès Morelli, ultimo rampollo di un'antica famiglia haitiana con lontane origini italiane, indaga attraverso i ricordi di un anziano domestico sulla morte della madre, avvenuta in circostanze misteriose dieci anni prima. Oscure storie di passioni soffocate, deliri mistici, suicidi e follie familiari si intrecciano con le tragiche vicende storiche dell'isola: una famiglia e una terra accomunate da un unico destino. Un romanzo dalle forti tensioni, caratterizzato da una scrittura barocca, che offre molteplici chiavi di lettura: bildungsroman, romanzo storico, poliziesco.

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