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Progetto editoriale inconsistente: 40 paginette tirate in largo, con tre raccontini striminziti
Ferdinand Ossendowski in questa raccolta di tre brevi racconti ci porta nel mondo misterioso e affascinante della Russia asiatica che tra mistici, tribù dalle antiche tradizioni e donne ambigue ma bellissime, trasportano il Lettore in un mondo sconosciuto alla civiltà occidentale ma pieno di attrattiva che lo allontana dalle brutture del mondo moderno e dalle sue megalopoli-necropoli di cemento, vetro e acciaio. Il lupo del Lago Nero è quindi un viaggio alla scoperta di un altro modo di concepire la vita e le usanze che vi si raccontano, appaiono a noi uomini e donne del XXI secolo iperindustrializzati e perennamente interconnessi, racconti di un passato remotissimo. Eppure Ossendowski (1871-1945) fu un uomo di scienze, viaggi, scritture: avversario tanto del malgoverno zarista quanto al bolscevismo e fautore della controrivoluzione (1920). Come viene descritto nel risvolto di copertina «ebbe un carattere eccentrico rispetto alle storture della modernità; riconobbe obiettivi distanti dalla sua dinamica sociale, compose opere che, con toni indicativi e anagogici, descrivono il fluire necessario della vita di tutti gli esseri: concentrico intorno alla sovranità del destino». Questi gioielli letterari esprimono l’indole di tribù arcaiche, dove l’innamoramento non è facile e soggiace a imperativi tradizionali. Riti, figure carismatiche come il monaco nero e Bibi-Enè, la leggiadra tredicenne kirghisa, offerta a Suliman, il capo tribù, come ricordo della salvezza dalla cancrena. Il libro è permeato di cacciatori e fedeli, spose e guerrieri e sullo sfondo il Lago Nero, dove gli attori appaiono e torneranno, scambiandosi i ruoli per una nuova rappresentazione, giocando trasfigurandosi tra la luce e la tenebra, per poi ritrovarsi. Le tre brevi novelli sono da consigliarsi a chi si riconosce in un mondo ormai quasi scomparso, oppure a chi accettando la modernità vuole compiere un viaggio dell’anima che gli permetta di ristabilire il contatto con la propria interiorità.
Questo volume ripropone una sezione di un libro di Ossendowski pubblicato in traduzione italiana nel 1926 con il titolo “L’uomo e il mistero in Asia”, in cui l’autore descrive alcuni viaggi avventurosi da lui compiuti a inizio Novecento tra gli Urali e il Pacifico, nella Russia asiatica. I vari episodi narrati sono tra loro slegati ma hanno tutti ad oggetto un susseguirsi esperienze straordinarie e di incontri con una variegata genia umana; di volta in volta si dischiudono davanti agli occhi del lettore meraviglie naturali, riti, leggende e superstizioni del mondo siberiano ma al contempo non vengono taciuti gli abusi e la ferinità dei coloni russi, spesso portatori di un progresso sanguinoso. Si ha tuttavia l’impressione che quel mondo selvaggio e ostile contribuisca ad avvicinare uomini e bestie, assimilando gli uni alle altre. Leggendo le pagine di Ossendowski spesso ci si domanda dove finiscano le esperienze vissute dall’autore, le storie raccontate e quelle inventate. Ma la domanda è forse oziosa. Il viaggiatore - il reduce - esternando il proprio vissuto, trasfigura se stesso e colui che delle proprie conoscenze rende partecipe. Vicende reali e fantastiche si mescolano, stemperando i confini che li delimitano. Forse proprio tra le pieghe di tale profilo emerge in sommo grado il fascino del nostro avventuriero polacco.
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