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Quando ho occasione di leggere le opere che un autore via via propone ho anche l’opportunità di verificare come si evolve lo stile e così è capitato anche con Giuseppe Carlo Airaghi, un poeta che ho incontrato con una silloge, edita da Fara, dal titolo Quello che ancora restava da dire. E’ stata una piacevole scoperta anche perché come ho evidenziato nella mia recensione si tratta di un’opera che di primo acchito instaura con il lettore un filo di empatia, frutto, soprattutto, al di là del valore intrinseco delle poesie, della pressoché immediata comprensione, circostanza non frequente oggi specialmente quando il contenuto è particolarmente profondo. Successivamente mi ha incantato il Monologo dell’angelo caduto, una raccolta ben diversa dalla precedente, perché in questo poemetto c’è un’evidente ricerca di un nuovo percorso espressivo che sia in grado di andare ben oltre l’esternazione del proprio “io”. Con Ora che tutto mi appare più chiaro c’è un ulteriore passaggio stilistico, peraltro a fronte di una eterogeneità dei temi svolti. In particolare ho riscontrato una ricerca visiva schematica volta a creare atmosfere e a esprimere riflessioni, come appare evidente nel Capitolo intestato Notti periferiche, laddove con i simboli di certe metropoli si evidenzia un’insoddisfazione esistenziale a cui fa riscontro, come palcoscenico, un degrado sociale. E’ una tematica che ho notato nelle sue precedenti produzioni, ma che qui è esposta in modo capace di rendere tangibili determinate sensazioni. Dove però c’è un effettivo stravolgimento, più che stilistico concettuale, è con Autobiografia apocrifa. A tratti, come a creare un habitat poetico, c’è un certo afflato pascoliano, non fine a se stesso, ma ben raccolto e inserito in un discorso di cui la natura, nelle sue interazioni, è la vera protagonista. Da leggere.
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