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Evidente contrappasso quello avvenuto nelle società comuniste dell'Est europeo, dove la tanto vaticinata "transizione" si è sì consumata, ma nel senso esattamente opposto a quello voluto, segnando il passaggio dai regimi a "socialismo reale" a forme, più o meno compiute, di società della privatizzazione, sorrette da democrazie caduche o scarsamente partecipate. In questo suo numero monografico il quadrimestrale "Futuribili" si interroga, avvalendosi di una decina di contributi, su qual è lo stato delle trasformazioni subite dai paesi al di là della vecchia cortina, ovvero quel complesso processo, innescatosi da vent'anni a questa parte, che ha determinato il mutamento della medesima composizione sociale. Più che sulla costruzione di qualcosa di nuovo, il tasto sul quale gli interventi si soffermano ripetutamente ha a che fare con le dinamiche della destrutturazione del preesistente. Il senso della transizione nelle società dell'Est si è giocato, pur tra vicende alterne e con esiti differenziati, rispetto alla prevalenza di quest'ultimo elemento. Sulla natura, sulla direzione e sull'intensità di tale movimento collettivo, che ha concorso alla ridefinizione della dialettica dei rapporti di forza tra spazio privato e pubblico (di cui ha anche ridisegnato i profili), sussumendo in sé ogni altra dinamica sociale, e cancellando anche l'idea stessa che possano esistere movimenti consapevoli di sé, gli autori si soffermano a più riprese. L'ipotesi da comprovare è quella, assunta in partenza, della dinamica operante di un darwinismo sociale inteso come processo selettivo della domanda, in una fase storica dove la contrazione della funzione regolativa dello stato è il dato che contrassegna, accomunandoli, percorsi variegati e differenziati.
Claudio Vercelli
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