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Si potrebbe partire dalla morriconiana “Deborah’s Theme”, tema centrale del film “C’era una volta in America”, per capire che l’America, quella dello swing, del jazz robusto, qui non c’è. Non c’è perché il jazz del Trio di Salerno, alla loro seconda volta in sala d’incisione, è un jazz che guarda all’Europa. Alla matrice melodica, all’armonia, alla memoria, alla poesia. Nelle dieci tracce di “Luna Nuova”, brano firmato da Sandro Deidda che apre all’ascolto di questo cd, c’è il desiderio di una novità strutturale che si allontana dall’idioma afroamericano per esplorare territori più contemporanei. E’ un disco ricercato negli arrangiamenti, che sa unire al processo moderno dell’esperienza Nord Europea, una cifra stilistica personale che ha il suo baricentro proprio nella melodia, nella “cantabilità” (per citare il titolo del loro primo disco). E anche quando il trio, completato da Gugliemo Guglielmi e Aldo Vigorito e impreziosito dalla presenza dei Solis String Quartet, si avventura in temi come “Joy Spring” di Clifford Brown, lo fa con la consapevolezza di non dover assecondare la scrittura originale ma prendendo volutamente in prestito la rilettura di Cesar Camargo Mariano. Del resto, due tracce del maestro Morricone (oltre alla già citata “Deborah’s Theme” la bellissima “Metti una sera a cena”) e la bellissima “Passione” (Valente-Tagliaferri), ribadiscono il legame, forte, con l’Italia. Legame che asseconda la matrice unica dei tre musicisti (l’Italia, la Campania e in questo caso, Salerno). Matrice, dalla quale non si vuole assolutamente sfuggire, anzi. La necessità, qui, è quella di evidenziare l’aspetto meno folcloristico del territorio, meno oleografico, meno sguaiato. Sublimando quelle atmosfere terse e rarefatte che pure sono nel Dna della nostra cultura e si chiamano: poesia. Aspetto, questo, “Luna Nuova” o in “Una fata Argentina” (di Vigorito) e nei legami con l’Europa,
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