Non è un caso che, pur trattando un evento necessariamente a sé contemporaneo qual è la morte della madre, Emanuele Tonon abbia creato tra i secoli un ponte di significati. In termini di pensiero, La luce prima ci riporta agli albori della letteratura antica, ad autori come Archiloco o Empedocle, il quale scriveva di Apollo: "Solo un cuore sacro e indicibile sussiste, che con pensieri veloci sfrecciandosi slancia attraverso il mondo intero". Prima che Hölderlin facesse di Empedocle un eroe romantico, per cui il gesto di gettarsi nell'Etna voleva significare concedersi all'assoluto in maniera definitiva, il cuore dell'essere umano era ancora capace di stabilire una relazione tra il proprio spirito e lo spirito della terra. Il cuore con cui questo romanzo è stato composto è di questo tipo. Non è luogo di perdizione né di infinito naufragare, ma carne che interroga l'esperienza e concede a chi soffre almeno una possibilità di rimetterla avanti a sé nei giorni ancora da vivere.
È vero: il trauma subito dalla scomparsa della madre non sembra "slanciare" l'autore nel mondo. La capacità di aggredire le cose e impossessarsi degli accanimenti è ostacolata dal vuoto dovuto alla perdita. Di fatto assistiamo a un'impasse, allo spavento per un momento che potrebbe durare quanto la vita in cui la vita resta esterrefatta, incapace di muoversi o far muovere altro. Attingendo al suo trascorso religioso (Tonon ha studiato da frate francescano), l'autore tenterebbe volentieri la vita e l'insegnamento cristiano, gridando una richiesta di soccorso a un dio che però non risponde, non interviene. La rivoluzione che la fede nella divinità che si è fatta uomo vede unificate la via del cielo con la via terrena, gira a vuoto, non basta più. Messa a confronto con la radicale necessità di un intervento salvifico da parte dell'orfano, persino la teologia cattolica si rivela debole, pretenziosa, una sorta di iperuranio platonico retorico e insufficiente. Tonon ci spinge a immaginare tanto: questa possibilità pericolosissima se non fosse sostenuta da una consapevolezza teologica profonda e attenta quale egli possiede dell'esistenza di un dio che si è autoconfinato fuori della storia. L'orfanezza di Tonon, da condizione "spontanea" dovuta alla passiva ricezione di un dono non voluto, in-voluto, appunto la morte della madre in questo libro (e del padre nel libro d'esordio, Il nemico), assume il carattere genetico di una predestinazione dal momento in cui si è orfani anche di dio. Un'orfanezza senza consolazione, quella di Tonon, che vaga nell'ombra in cerca di una carezza portando il lume ora fioco ora intenso del ricordo delle esperienze primarie, primordiali, materne. Quindi orfano anche del mondo, poiché da queste considerazioni viene fuori che il suo pensiero non è stato partorito dal pensiero attualmente dominante, che nelle peggiori semplificazioni scorre come un fiume tra la sponda del materialismo assoluto e quella di una spiritualità inconsistente, lontana dalla realtà ultima dell'essere umano.
Per staccare il piede da terra lo scrittore ha bisogno di sacrificare il suo cuore, renderlo sacro e indicibile, votarlo a un bene determinato. Allora un movimento prende vita e lo vediamo: i pensieri di Tonon sono veloci come le frecce di Apollo descritte da Empedocle, lo consente la lingua con cui egli racconta la sua "piccola mamma". Una sinuosità linguistica senza precedenti, senza frasi a effetto, senza strizzate d'occhio al lettore, senza quegli artifici pure necessari alla persuasione narrativa. Non troveremo un solo vettore stilistico, neanche "costruttivo", di quelli che danno modo di scandagliare le opere dei più degni maestri. Un romanzo che sembra essersi scritto da sé, e che a leggerlo, viene da pensare, prende lo stesso poco tempo che è servito a scriverlo, perché queste pagine possiedono l'agilità e l'apparente semplicità di un gesto. La felicità espressiva che traspare rende questo libro una specie di Macchina di Antikythera, uno di quegli strani oggetti che vengono ritrovati nelle profondità marine, la cui origine risale a migliaia di anni fa e nel loro riaffiorare ci donano un'incongruenza storica, poiché la tecnologia che li ha creati è pari o superiore alla nostra. Il genere romanzo continua a essere una perfetta macchina di senso. Un motore impalpabile che genera significato in eccellenza.
C'è la reale possibilità che Tonon sia il solo scrittore italiano a non subire il divario tra lingua parlata e lingua scritta; tra lingua trovata in casa (o in fabbrica) e lingua letteraria. Consapevoli che in ultima analisi sta in questo la vera prova di una corrispondenza tra vita e letteratura, si ha il dubbio se elogiarlo per l'una o per l'altra.
Da qui nasce il bene di questo libro e allo stesso tempo quanto di primo acchito disturba la narrazione, quel che di confessionale non vorremmo ci fosse perché intorbidisce la trasparenza delle immagini. Ma è quel poco di opacità dovuta al cuore trascinato sul piano di un'esistenza fragile come il vetro. Una traccia di sangue sufficiente a renderci visibili le ragioni del dolore. Paolo Sortino
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