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un gran librone dedicato ad un grande pittore. Belle tavole ampie che permettono di percepire i giochi luministici del Cambiaso
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"Luca Cambiaso. Un maestro del Cinquecento europeo" (Genova, marzo-luglio 2007) è la versione italiana, accresciuta e variata, della mostra tenutasi nel 2006 al Blanton Museum of Art di Austin (Texas). Il catalogo genovese, dopo un inquadramento storico sul Cinquecento a Genova (Arturo Pacini), entra nel vivo con l'ampio saggio di Lauro Magnani, che dell'intera esposizione rappresenta la spina dorsale critica, e dove si trovano condensati i risultati della sua monografia sul pittore ("Luca Cambiaso da Genova all'Escorial", Sagep, 1995).
La mostra traccia l'itinerario di Cambiaso (Moneglia 1527 - El Escorial 1585) partendo dagli esordi nella bottega del padre Giovanni e riservando due pregevoli sale a evidenziarne i molteplici stimoli culturali, tra il raffaellismo di Perin del Vaga e Giulio Romano e il vitale confronto con i modelli michelangioleschi, mediati dal Pordenone e dal Beccafumi. Verso una stereometrica semplificazione delle forme porterà poi l'intima comprensione della scienza compositiva e prospettica di Galeazzo Alessi e Giovanni Battista Castello detto il Bergamasco, personalità quest'ultima indagata a fondo, anche oltre i suoi rapporti con Cambiaso, nel saggio di Piero Boccardo e Clario Di Fabio. Tra gli inediti della mostra figura anche una Madonna col Bambino in marmo bianco, proveniente da Comuneglia (scheda di Piero Donati), la cui attribuzione a Cambiaso ha anzitutto il merito di sottolineare la necessità di ulteriori ricerche in questa direzione, oltre le ben note tangenze (iconografiche) cambiasesche nei gruppi lignei di Anton Maria Maragliano. Del resto, è già Raffaele Soprani a ricordare nel 1674 l'artista con la doppia qualifica di "pittore e scultore".
È in particolare nella personalissima e copiosa produzione grafica, esposta nelle sale di Palazzo Rosso e sulla quale l'attenzione della critica non sembra diminuire (in catalogo, ne scrive Jonathan Bober), che si segue con agilità l'evoluzione della poetica cambiasesca, con l'approdo verso gli anni sessanta a una pratica progettuale fondata sulle "figure quadrate", per dirla con il Lomazzo. A tale riguardo, lo stimolante saggio di Giulio Bora, che insegue le tracce dei possibili influssi "lombardi", si interroga sul peso che l'ambiente artistico e teorico milanese tra Quattrocento e Cinquecento (da Foppa a Bramante) dovette verosimilmente avere sugli esiti "cubizzanti" della poetica cambiasesca. E quale il ruolo del cremonese Antonio Campi nello sviluppo di quella pittura "a lume di notte", che fu tra le soluzioni predilette da Cambiaso degli anni settanta? Già del decennio precedente è invece l'adesione ai modelli correggeschi e le suggestioni veneziane, da Tiziano a Veronese, un confronto che in quanto a modalità resta anch'esso da precisare.
I termini del lascito cambiasesco alla successiva generazione di pittori liguri, con la partenza del pittore per la Spagna nel 1583, sono affrontati da Massimo Bartoletti e Franco Boggero, un tema che il saggio di Ezia Gavazza tratta, più specificatamente, in riferimento alle decorazioni a fresco e alla pratica di strutturazione dello spazio prospettico. Un profilo della fortuna critica del pittore dal Cinquecento a oggi è poi tracciato da Gianni C. Sciolla. Il Cambiaso di Spagna ha il suo esito ultimo nella "pittura riformata" degli affreschi all'Escorial, parte di un più ampio cantiere pittorico proseguito dagli allievi dopo la morte del maestro (saggio di Carmen García-Frías Checa). Ma all'Escorial è lo stesso Cambiaso a segnare il passo nel controverso, sconcertante, affresco della volta del coro, dove si legge, per molti versi, la sconfitta del pittore dei "concetti" spaziali precipitati nella forma, soffocato dalla pesante ingerenza iconografica dell'imperatore Filippo II.
Stefano de Bosio
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