Roma, quartiere Primavalle. Sul fatto di cronaca nera lì consumato nel febbraio 1950 con enorme risonanza mediatica e impatto simbolico sull'Italia postbellica, Luchino Visconti trae l'anno successivo un cortometraggio, Appunti di un fatto di cronaca, ma la sceneggiatura-narrazione di forte denuncia sociale a firma di Vasco Pratolini fa negare il visto alla censura. Va meglio a Rossellini, che girando sempre lì e quasi contemporaneamente una parte del drammatico Europa '51, che l'anno dopo trionferà a Venezia, cattura qualcosa dell'atmosfera in cui si è consumata la tragedia di Annarella. L'operazione di Riccardo D'Anna, in questo libro bello, triste e originalissimo, si colloca idealmente sulla stessa linea: un documentario, certo, sull'Italia della diseguaglianza da uno dei suoi snodi più emblematici, ma insieme una riflessione più ampia sugli orizzonti nazionali, fino al terrorismo e ai nostri giorni. Dove all'attento studio della rassegna stampa d'epoca e delle carte processuali (fino a evocare passo passo, in termini di ipotesi, una più credibile soluzione ai fatti del delitto e al vero ruolo del cosiddetto "mostro di Primavalle") si compenetrano con eleganza dimensioni narrative diverse. Da un lato, infatti, il libro è una sorta di meditabondo baedeker sul quartiere, innervato dalla sua storia urbanistica fin dai giorni del fascismo (con un dettagliato, amorevole studio topografico nutrito di ricordi anche personalissimi) e insieme dai racconti che l'autore collaziona in chiave di reportage tra gli abitanti di oggi: microstorie di lavoro gravoso o mancante, di amori, amarezze, sogni che recano una sorta di cornice o di lente per leggere il caso. D'altro canto in queste pagine controllatissime, ma mai di maniera, e dolenti di un'onestà partecipe, alla storia di giustizia negata di Annabella si compenetra via via una meditazione sulle "ferite sulla pelle di un Paese con tanti morti ammazzati, qualche capro espiatorio ma nessun colpevole": ulteriore tappa, insomma, di un percorso incalzato nelle precedenti opere dell'autore, e che qui dilata la visuale con pietas e pacata indignazione. Franco Pezzini
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