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Ventiquattro straordinari racconti di varia lunghezza compongono quest'opera dello scrittore Orhan Kemal, nome d'arte di Mehmet Rasit Ogutcu (ci scuserete se non possiamo scrivere il nome esattamente ma la tastiera italiana non contempla alcuni segni della lingua turca), tradotto da Barbara La Rosa Salim, con la prefazione e a cura di Giampiero Bellingeri e pubblicato dalla Lunargento di Venezia nella sua collana Cahiers de voyage. Se mi permettete un consiglio: leggete prima, tutti d'un fiato, come ha fatto la sottoscritta, i racconti, gustateveli e poi tornate, a ritroso, alla dettagliata e competente prefazione di Bellingeri che ci arricchisce con le notizie sull'autore e sulle sue tematiche. Sono racconti che hanno come protagonisti sempre e soltanto gli "ultimi", che siano bambini come in "Sonno" o "Il bambino Alì" o persone detenute come "Ysuf, l'inserviente dell'infermeria" (e questa storia sarà stata probabilmente ispirata dal periodo trascorso in carcere dall'autore dal 1939 al 1943 accusato di incitamento alla rivolta nelle caserme) o donne come in "Una morta" o "Una donna"; sono tutte storie che hanno come denominatore comune la povertà, la lotta per la vita, per il pane, come dice il titolo, ma sempre venate da un sorriso nonostante tutto, da un "ottimismo naturale, raggiunto vivendo, e non imparato a qualche scuola?" come scrive Orhan Pamuk, scrittore turco premio Nobel.
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