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Lone Sloane. L'integrale - Philippe Druillet - copertina
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Lone Sloane. L'integrale - Philippe Druillet - copertina

Descrizione


In un unico volume "gigante" tutti i libri del viaggiatore interstellare Lone Sloane, a metà strada tra l'omerico Ulisse, i mondi visionari di Lovecraft e l'Art Nouveau. Contiene: Les 6 Voyages, Delirius, Gail, Chaos, Delirius 2.
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Dettagli

2016
2 marzo 2016
320 p., ill. , Brossura
9788877597373

Voce della critica

Recensire Lone Sloane: ma scherziamo? Dico, parliamo di un fumetto che per sua natura rifiuta qualsiasi tentativo di commento che non sia quel tipico gesto che fai quando sgrani gli occhi, alzi le sopracciglia e allarghi le braccia, e al contempo è uno dei massimi monumenti della bande dessinée di tutti i tempi. Quindi capite, non posso che affrontare queste righe con sincera deferenza mista a timore, e tuttalpiù ricordarvi che il capolavoro di Philippe Druillet ha avuto in Italia una vicenda editoriale piuttosto travagliata, e allora ben venga l'Integrale della Magic Press. Ma poi?

Intanto limitiamoci alle circonlocuzioni di rito. Convenzione vuole che alla saga di Druillet si accompagnino una serie di aggettivi – “visionario”, “irraccontabile”, oltre che ovviamente “incomprensibile” – tutti sacrosanti, che a loro volta denunciano la difficoltà di restituirne a parole portata e contenuti. Volessimo provare a contestualizzarla nel periodo in cui prese forma, diremmo che è l'opera che atterra come un UFO nel panorama francese di fine Sessanta/inizi Settanta, e al contempo prepara il terreno per la rivoluzione Métal Hurlant (rivista di cui, dopotutto, Druillet fu tra i fondatori). In effetti, la prima volta che il personaggio di Lone Sloane appare è nel 1966; il primo racconto compreso nella presente Integrale è però del 1970, e in quei quattro anni c'è un salto quantico in termini di... be', diciamo di tutto.

Lone Sloane, dicevamo sopra, è irraccontabile; lo è per davvero: espressioni tipo “narrazione esplosa” o “andamento sperimentale” sono approssimazioni di circostanza che forse valgono come indizio, ma che poco rendono dell'esperienza che il lettore si trova ad affrontare una volta che l'occhio si posa su queste pagine. Intanto, sono pagine in cui tavole, griglie e vignette vengono smontate e rimontate secondo un ordine che altro non si sa come definire se non allucinato, e di cui non sempre è facile cogliere la consequenzialità; a sua volta, la trama è una... non-trama, o per meglio dire un caotico affastellarsi di apocalittiche avventure fantasy/sci-fi abbondantemente annaffiate di umori lisergici, col protagonista – Lone Sloane, appunto – che di volta in volta si trova alle prese con pianeti strani, creature minacciose, geometrie non euclidee e deliri psichici dai toni sempre e comunque disperati.

A volte affrontare Lone Sloane diventa un'impresa anche fisica, nel senso che bisogna materialmente ruotare le pagine per decifrarne i contenuti; ma il magnum opus di Druillet resta prima di tutto una faccenda cerebrale: è un'opera dal respiro epico se non omerico tout-court, ma filtrata attraverso una logica che tiene assieme Escher da una parte e Lovecraft dall'altra – due nomi che d'altronde Druillet si premura a più riprese di omaggiare, attraverso citazioni, ammiccamenti, e riferimenti espliciti. Ma il riferimento più diretto, più che il Silver Surfer tante volte preso a paragone, è probabilmente la rivista New Worlds diretta da Michael Moorcock a metà anni '60, e da lì quella New Wave of Science Fiction (specie se inglese) che trasformò la narrativa di fantascienza in un laboratorio di visioni veementemente psichedeliche, anticipando e anzi ispirando non pochi tratti delle culture underground di lì a venire: sapete, l'inner space che sostituisce l'outer space, la pop art, la droga, tutte queste cose qui.

Il legame tra Druillet e New Wave of SF è in fondo abbastanza diretto e passa per le illustrazioni che il fumettista regalò per dire all'Elric di Melniboné dello stesso Moorcock. Seguendo il filo di questo legame, viene anche spontaneo paragonare gli spettacolari disegni di Druillet alle illustrazioni che Barney Bubbles regalò agli Hawkwind di inizi anni 70 (che a loro volta si facevano scrivere i testi da chi? Ma sempre da Moorcock, che domande): quello stile pop-psichedelico zeppo di dettagli maniacali, la propensione per una specie di indecifrabile futurismo barocco-babilonese misto ad art nouveau, la tensione costante tra le suggestioni provenienti dal fumetto popolare da una parte e le fughe avantgarde dall'altra, la fascinazione per le gigantesche scale di templi, montagne e navi spaziali, sono tutti particolari che tornano tanto nel lavoro del grafico inglese quanto nelle tavole del fumettista francese. Ma alla fine che altro aggiungere a quanto già dice Jean-Pierre Dionnet? Lone Sloane fu “la bomba che spazzo` via tutto cio` che si era visto fino a quel momento”. Magari è una bomba che non fa più tanto rumore come un tempo; ma le vertigini sì, quelle restano e sono ancora bellissime.

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