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"Una compagnia italiana che non recita all'italiana ", una rappresentazione il cui pregio è il "realismo", un Goldoni che "finalmente ci riguarda, proprio perché è collocato storicamente, all'alba dei tempi moderni, nel momento in cui l'affettività umana, anche se ancora incarnata nei tipi, comincia a socializzarsi, a divenire prosaica, ad abbandonare la pura algebra delle 'combinazioni' amorose per impegnarsi, compromettersi in una vita obiettiva, quella del denaro e delle condizioni sociali, degli oggetti e del lavoro umano". Così sintetizzava Roland Barthes le qualità fortemente innovative della Locandiera messa in scena da Visconti rispetto a una tradizione di rappresentazione a lungo ribadita, che pretendeva di rifarsi a una supposta maniera settecentesca, con una Mirandolina civetta tutta inchini e moine ai suoi corteggiatori, imprigionata in un cliché ottocentesco del tutto estraneo alla concezione di teatro di Goldoni. Un realismo, come sottolinea a più riprese Federica Mazzocchi, molto à la Visconti, in cui svettano i temi della solitudine, della conflittualità fra i sessi, della negazione del desiderio, della perenne impossibilità dell'amore. L'autrice percorre in ogni sua piega la storia di questo allestimento epocale di Luchino Visconti che, datato 1952 (stesso anno delle Tre sorelle di Cechov, altro apice viscontiano), segna un punto di svolta che influenzerà tutte le successive letture registiche del testo goldoniano. Il volume apre con un'ampia introduzione alla vita e al lavoro drammaturgico di Visconti, sempre a confronto con le altre sue attività, seguono analisi del testo e della complessa elaborazione viscontiana e una ricostruzione dello spettacolo, basata, poiché non ne esiste una registrazione visiva, sui copioni con le note del regista, sui bozzetti e le foto di scena, su critiche e recensioni (delle quali è riportata anche un'antologia, da cui la citazione di Barthes, che assistette a Parigi a una versione di quattro anni successiva).
Giuliana Olivero
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