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L'autore afferma fin dall'inizio che questo "non è un libro di storia" perché mosso da un intento politico, di ripensamento della vicenda della nascita del P.C.d'I. come strumento per riflettere sull'autonomia (o meno) delle formazioni politiche di sinistra nel quadro della lotta politica nazionale. Al di là della tesi però dell'autore (tutta a favore di Gramsci e invece rispettosamente critica di Turati e, in prospettiva, di Togliatti), quello che risulta davvero apprezzabile del saggio è la ricostruzione molto precisa e attenta alla situazione italiana del dibattito tenuto a Livorno e delle diverse posizioni di riformisti, massimalisti, comunisti (e dei rappresentanti del potere sovietico), cosa che permette al lettore di comprendere i fatti e di poter giudicare autonomamente anche l'interpretazione proposta dall'autore. Molto consigliato.
Recensioni
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La prende alla larga Vander per approdare alla ricetta vincente di una sinistra che voglia essere all'altezza dei tempi. Formulata con il gusto della metafora geografica, consisterebbe nel miscelare "una Genova senza trasformismo e una Livorno senza stalinismo". Il che è impresa non da poco. Significherebbe, cioè, resuscitare e condurre a sintesi un filone socialista emendato dal vizio del collaborazionismo filoborghese e un comunismo depurato dalla sicura disciplina di antico conio. Secondo Vander la nascita del Partito comunista non fu il risultato di un diktat sovietico, ma la manifestazione di un'autonoma volontà, che affondava le sue radici in una lettura molto consapevole del sistema politico italiano. Coloro che si rifacevano a Gobetti e a Giovanni Amendola, oltre alle "correnti di estrema sinistra con le forze giovani e preparate dei comunisti raccolti intorno all''Ordine nuovo'", avevano colto la necessità di dar vita non già a una violenta rivoluzione, ma a uno "stato borghese senza (…) la borghesia" (Gramsci), a un totale ricambio della élite dirigente. L'analisi del congresso socialista del 1921 viene condotta intervento per intervento, nell'intento di sfatare luoghi comuni o disseppellire passaggi dimenticati. Terracini si schiera per un'unità proletaria comprensiva dei cattolici, Turati non esita a sostenere che socialismo e comunismo sono due fasi di una stessa evoluzione, i riformisti sono talvolta più massimalisti di quanti intendevano portare il grosso del partito dentro la Terza Internazionale e quindi desideravano che la scissione si producesse a destra. "In effetti – si ricorda – Gramsci non rinnegò mai la scissione, ma il 'modo' bordighista di gestirla: aver reso i comunisti minoranza aveva favorito il fascismo". In apertura Vander avvisa che il suo scritto è più "politico" che storiografico: e come tale va letto.
Roberto Barzanti
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