Il narratore inizia il suo racconto sforzandosi di ricordare come e quando conobbe la sua amatissima e defunta moglie Ligeia, senza però riuscirci. Forse perché sono passati anni, forse perché il dolore gli ha fiaccato la memoria, o forse ancora perché l'immensa grazia, la bellezza, l'intelligenza e la straordinaria erudizione della donna gli sono penetrate nel cuore così nel profondo da dimorarvi in modo così tanto ignoto e inaccessibile. Ma sull'argomento della persona di Ligea, la memoria non gli viene meno. Alta e sottile di corporatura, aggraziata, bellissima in ogni lineamento del volto, con la pelle bianca avorio, le lunghe trecce ondulate nero corvino. Ma la cosa più rilevante di Ligeia sono i suoi grandi occhi neri profondi, insondabili e il suo sguardo. E proprio su queste meravigliose sfere e sull'espressione dello sguardo di lei che il narratore si concentra e cerca di carpirne tutti i misteri, senza riuscire mai a venirne a capo. Dopo alcuni anni, Ligeia si ammala e solo nel periodo precedente la morte, l'uomo capisce la forza dell'amore e l'idolatria che la moglie provava nei suoi confronti. Al culmine della notte in cui spira, Ligeia fa leggere al marito delle strofe che lei aveva scritto alcuni giorni prima di morire. Quando questi finisce la poesia, Ligeia sussurrandogli: "Non fosse per l'inadeguatezza della sua fiacca volontà, l'uomo non cederebbe agli angeli, né alla stessa morte.", muore. Dopo la morte di Ligeia, il narratore si ritrova la grande eredità economica della moglie ma non tollera più la loro dimora nella metropoli sul Reno perché le ricorda la defunta moglie. Quindi dopo aver vagabondato in modo insensato e affranto, acquista e ristruttura un'antica e isolata abbazia in una zona dell'Inghilterra tra le più appartate e meno frequentate. L'uomo lascia l'esterno tetro e torvo dell'abbazia così com'era, ma è all'interno di questa che si cimenta in uno sfoggio di magnificenza assai più che regale, decorandola riccamente, anche trascinato dalle sue fantasie oppiacee che gli suggeriscono, ad esempio, colori, stile e composizione. All'interno dell'abbazia fa quindi installare: fasti tendaggi, solenni statue egizie, oggetti estrosi, incensieri preziosi, mobili antichi, tappeti e arazzi. Il narratore si sofferma poi sulla descrizione della camera da letto, tappezzata con tanto di arazzi d'oro intessuti di nero, cangianti e fantasmagoricamente sospinti da una perpetua corrente d'aria nella parete, onde accrescere l'iridescenza dei ricami. L'uomo si ritrova sposato con Lady Rowena Trevanion di Tremaine, una donna bionda e dagli occhi cerulei, anche se ossessionato sempre dal ricordo di Ligeia, il narratore si dà sempre più all'uso dell'oppio e detesta la sua seconda moglie. L'uomo si chiede, inoltre, cosa meditassero i genitori di Rowena che per sete di denaro fecero varcare alla loro figlia vergine la soglia di una tale dimora inorpellata in quel modo. Rowena presto si ammala e forse complice la malattia, la donna ode voci e vede figure simili a spiriti che il marito non è in grado di vedere. In occasione di uno di questi deliri, il narratore va a prendere un vino medicamentoso consigliato dal medico per curare Lady Rowena, che già non molto tempo prima era caduta preda di una violenta malattia, da cui era faticosamente guarita, e gliene porge un bicchiere. Nell'atto di allontanarsi dal capezzale di lei, scorge un'ombra evanescente di aspetto angelico sul pavimento, proiettata dall'incensiere che pende dal soffitto. Subito dopo, mentre la moglie sta portando il vino alle labbra, l'uomo vede alcune gocce di liquido rosso comparire dal nulla e cadere nel bicchiere. Il narratore sconvolto, considera quanto visto, sicuramente, frutto della propria fervida immaginazione inacerbita dal terrore della moglie Rowena,
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