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Jonathan Keates si può annoverare tra gli esempi più alti d’una tutta britannica gentility, ovvero tra i rappresentanti d’una certa classe media, colta, portata a viaggiare e a coltivare interessi eclettici. Un tipo d’intellettuale semplificabile nella categoria dei geniali dilettanti. L’Inghilterra del XX secolo ne ha prodotti in quantità, attingendo da un ampio bacino d’esteti più o meno legati all’aristocrazia. Pensiamo al mondo di Edith, Osbert e Sacheverell Sitwell, di Harold Acton, Norman Douglas, Lord Berners, e Max Beerbohm, tutti attratti dall’Italia, in cui hanno a lungo vissuto ed hanno fatto oggetto dei loro romanzi o travelogue. La scrittura di Jonathan Keates non mostra però tracce della snobistica autoindulgenza dei Sitwell & Co. I suoi lavori infatti, non solo soddisfano curiosità più disparate, ma garantiscono rigore stilistico e precisione. Nato a Parigi nel 1946, Keates è stato educato a Bryanston ed al Magdalen College di Oxford e ha poi insegnato inglese alla City of London School. Il libro, che vinse i prestigiosi James Tait Black Memorial Prize e l’Hawthornden Prize, contiene quattro short stories ambientate nella prima metà dell’Ottocento tra la Calabria, il Ducato di Mantova e le città di Venezia e Vicenza, e mostrano l’Italia in una fase di densa inquietudine che sarebbe poi sfociata nelle guerre d’indipendenza. Ognuno dei racconti è narrato attraverso gli occhi di diversi stranieri in viaggio nel nostro paese, alla ricerca di irraggiungibili ideali artistici; di contro, si presenta loro una realtà cinicamente prosaica. In Sul far del giorno, ad esempio, il pittore di paesaggi Cattermole è disorientato dalla resistenza armata che i locali oppongono alla dominazione borbonica. La Calabria che ci viene mostrata è ancora quella descritta da Edward Lear in Journals of a Landscape Painter in Southern Calabria nel 1852, o da Charles J. Lever in Paul’s Gosslett’s Confessions nel 1868, lontana anni luce dall’idillio sensual-mediterraneo di D. H. Lawrence o di Norman Douglas. Le vicende degli ultimi due racconti, ispirati a Wagner e a Ruskin, sono a tal punto permeate della vasta cultura musicale di Keates (autore di biografie di Händel e di Purcell) che il teatro dell’opera diventa il perfetto setting di delusioni letterarie, musicali e artistiche.
Recensione di Elisabetta d’Erme
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