(Možaisk, Mosca, 1894-1938?) scrittore sovietico. Nel suo primo romanzo di successo, L’anno nudo (1922), ispirato alla rivoluzione, portò all’estremo la tecnica non-narrativa coltivata da A. Belyj e teorizzata dai formalisti. Ricorrendo a bruschi montaggi di brani eterogenei, P. vi esprime la sua personale visione della rivoluzione russa, sentita come esplosione informe di energie primordiali. Nei racconti e nei romanzi brevi che seguirono (Ivan-de-Marija, La terza capitale, Madre-umida terra, raccolti nei volumi Pane nero, 1923, e Oltre le foreste, 1924), sviluppò ulteriormente questa tecnica. L’intonazione fortemente slavofila di alcuni suoi scritti non piacque alla critica ufficiale, che vi ravvisò posizioni reazionarie. Dopo le polemiche suscitate dal Racconto della luna che non fu spenta (1926), in cui si alludeva alla morte di Frunze, il capo dell’Armata Rossa, P. tentò l’autocritica con Il Volga si getta nel Mar Caspio (1930), di argomento «edificante»; ma una parte del romanzo, già pubblicata all’estero separatamente col titolo di Mogano (1929), tradiva i dubbi dell’autore sulle possibilità di riscattare l’antica indolenza asiatica del popolo e denunciava la sua simpatia per un immobile passato medievale. Accusato di atteggiamento antisociale e antistorico, cadde definitivamente in disgrazia; dal 1937 il suo nome fu ignorato dalla stampa sovietica; molto più tardi si apprese che, arrestato come spia dei giapponesi, morì in un campo di concentramento. In anni recenti è stato «riabilitato».