(Tundutovo, Astrahan, 1885 - Santalov, Novgorod, 1922) poeta russo. Studiò matematica all’università di Kazan e poi si trasferì a Pietroburgo, dove entrò nell’ambiente letterario, allora dominato dai simbolisti. Al suo nome anagrafico, Viktor, sostituì quello slavo di Velimir. Nel 1909 pubblicò, insieme ad altri poeti, il primo almanacco futurista, «Il vivaio dei giudici», e del gruppo futurista, in particolare di Majakovskij, fu sempre collaboratore e amico. Catturato dall’esercito bianco durante la guerra civile, dopo l’arrivo dei rossi vagabondò per il paese svolgendo i più disparati mestieri. Morì, in estrema miseria e solitudine, in un villaggio di provincia, dopo una vita dominata dal bisogno di libertà, dal rifiuto delle convenzioni borghesi, da un perpetuo nomadismo.Il nomadismo è una delle caratteristiche più rivelatrici della poesia di Ch., attraversata da un’iterazione erratica di figure e immagini che si dispongono nel tessuto lirico con la frammentarietà e il disordine dei disegni infantili e della prospettiva cubista. Tra questi nuclei semantici ricorrenti, unici elementi di coesione in una lirica disarticolata, uno dei più suggestivi propone immagini di civiltà arcaiche, spaccati di epoche remotamente maestose, che il poeta contrappone al trambusto meccanico della civiltà moderna. Nel cercare l’eterna «asiaticità», magica e immota, della terra russa, Ch. ricalca a tratti i modi dell’epos orale, soprattutto negli interminabili elenchi di nomi antichi, esotici, insoliti in cui la poesia sembra ritrovare una primordiale funzione magica. Infaticabile creatore di stravaganti «utopie», Ch. coltivò, tra l’altro, quella di una «lingua universale», una sorta di esperanto basato sul significato simbolico delle lettere dell’alfabeto. Questa utopia procedeva da una straordinaria facoltà di «sentire» fisicamente il linguaggio e le sue stratificazioni di senso, facoltà che caratterizza tutta l’opera di Ch. ed ebbe lo sviluppo più appariscente nella sua produzione «transmentale», nelle sue liriche, cioè, tramate di soli fonemi, ma sempre attente alle risonanze etimologiche. L’opera di Ch. restò in gran parte inedita, o dispersa in riviste, fino a quando il critico Jurij Tynjanov non la raccolse in 5 volumi (1928-33). Per il suo splendido miscuglio di candore e di tensione sperimentale, per il suo riattraversare in profondità infiniti spessori stilistici, essa costituisce uno dei vertici della poesia russa del Novecento, e ha esercitato un forte influsso su poeti come Majakovskij, Pasternak, Zabolockij.