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Anno edizione: 2010
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Se qualcuno vuole farsi un'idea di cosa possa aver preceduto l'assassinio del presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy (a Dallas nel 1963), con questo libro potrebbe essere soddisfatto. C'è soprattutto la storia, ricostruita in base alle infinite documentazioni esistenti sul caso, di Lee Harvey Oswald. L'uomo che ancora oggi viene considerato l'omicida, colui che premette il grilletto, quanto meno per il primo colpo, e centrò la testa del presidente. Don DeLillo mette tutto su carta e romanza con le necessarie licenze. C'è la Cia e i suoi errori macroscopici (Baia dei Porci), c'è Cuba, c'è la mafia italo-americana, c'è la Russia e il Kgb. La pecca del romanzo è forse proprio quella di mettere troppe cose insieme. Nella miscellanea si rischia, a tratti, di perdere il filo, di non ricordare i nomi e il ruolo di alcuni personaggi, magari importanti. Ma nel complesso c'è tanto da imparare. Senza dimenticare l'incalzante e scorrevole prosa di DeLillo, resa magnificamente dalla traduzione di Massimo Bocchiola.
Norman Mailer è un'altra cosa. Un libro confuso.
Recensioni
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recensioni di Pincio, T. L'Indice del 2000, n. 11
Le ragioni che possono avere spinto Don DeLillo a scrivere un libro sull'assassinio del presidente Kennedy apparentemente non dovrebbero costituire materia di discussione. L'oscura sfilata di complotti che ha fatto da sfondo a quel tragico evento basta da sola per giustificarne una versione romanzata. Se a questo aggiungiamo il modo in cui l'intera nazione americana ha vissuto i fatti come una cacciata pressoché definitiva dal paradiso del suo sogno meraviglioso, la conclusione sembrerebbe evidente: quale miglior tema per tentare di scrivere un nuovo Grande Romanzo Americano, tanto più quando si appartiene a una generazione rimasta particolarmente segnata da quel 22 novembre di Dallas?
Nel caso di Libra (ora ripresentato da Einaudi in una traduzione finalmente degna dell'autore) le motivazioni sono però molto più sottili. In primo luogo perché, pur cimentandosi con un evento di portata indubbiamente storica, DeLillo sceglie di evitare l'andamento epico e corale da Grande Romanzo, preferendo invece una scrittura dai toni più discreti, a tratti anodina, che sembra trasalire solo davanti alla tragicità delle cose di tutti i giorni e alle meschinità che costellano la vita intima delle persone. Ma soprattutto perché non si tratta di una ricostruzione romanzata dell'assassinio del presidente Kennedy, quanto di un romanzo sulla vita del suo esecutore materiale, sull'indefinibile figura di Lee Harvey Oswald.
Quest'ultima precisazione la si potrebbe considerare oziosa, ma è in effetti questa la chiave per entrare nel cuore del libro; prova ne sia il fatto che, tra le tante teorie di complotti disponibili, DeLillo sposa intenzionalmente quella più ovvia, e la sposa, stando alle sue parole, per "rendere giustizia alla verosimiglianza storica". In altri termini l'autore accetta i fatti per quello che sono, o meglio per come li abbiamo conosciuti. Assume l'ipotesi che Oswald sia stato la pedina inconsapevole di un complotto e fa di questa ipotesi la trama del romanzo, ma qui si ferma. Paradossalmente Libra è il romanzo meno paranoico di DeLillo, perché il complotto è semplicemente la scenografia naturale di un racconto in cui la vita di una persona qualunque finisce per intrecciarsi con il corso della storia.
Spiegando che si tratta di un romanzo diverso dai suoi precedenti, DeLillo definì Libra "un capolinea dei sentimenti umani". E sono infatti le zone meno documentabili storicamente quelle che più interessano all'autore: la congenita indeterminazione della motivazioni umane, la causa sfuggente che è all'origine di certe azioni, il mistero di come eventi del tutto casuali e insignificanti possano essere i responsabili reali di destini che in apparenza sono legati a un disegno più grande.
Non per nulla, la ragione ultima che spinse DeLillo a scrivere Libra fu una coincidenza personale, qualcosa che lo legava all'anti-eroe della vicenda Kennedy. Per quasi un anno, nel 1953, Oswald abitò con la madre a New York, nel Bronx, a pochi isolati di distanza della strada in cui allora viveva DeLillo. Ed è proprio da questo legame personale dell'autore con il suo personaggio che il romanzo inizia: i mesi che Oswald trascorse in quel territorio metropolitano così noto a DeLillo. La zona del Bronx nei pressi dello zoo, i viaggi in metropolitana, il buio dei vicoli, la violenza dei ragazzi del quartiere.
Perché debba essere proprio questo il punto di partenza, perché un romanzo su un evento di portata storica cominci con l'immagine di un ragazzo che passa il tempo a viaggiare in metropolitana con le mani premute contro il vetro del primo vagone e l'occhio rivolto alle tenebre della sotterranea, DeLillo lo spiega ponendo quale esergo d'apertura le parole che Oswald scrisse al fratello in una lettera: "Felicità è partecipare alla lotta, dove non c'è confine fra il mondo personale di un individuo e il mondo in generale". Più avanti, DeLillo farà pensare qualcosa di simile a uno dei tanti personaggi che, in bilico tra realtà e finzione, plasmano la sensibilità e, conseguentemente, il destino di Oswald: "La vita è nemica, pensava. Lottare significa mescolare la propria vita al più vasto flusso della storia". E continuando di questo passo non è certamente un caso che l'ultima parola del libro sia proprio "storia".
L'intero romanzo si muove dunque lungo il confine che separa lo spazio dell'intimità individuale dalla mappa intricata dei disegni collettivi. Libra - la bilancia era il segno zodiacale di Oswald - mette su un piatto lo slancio emotivo dei sentimenti e degli ideali coltivati dai singoli esseri umani e sull'altro la potenza distruttiva che si sprigiona nel momento in cui sentimenti e ideali si arenano nel delta del mondo e della storia. Sul piatto degli spazi individuali c'è la vita, su quello opposto della storia, quello verso cui la bilancia finisce inevitabilmente per pendere, c'è la morte. Kennedy viene ucciso da colpi di fucile che avrebbero dovuto mancarlo e Oswald giunge ad appartenere alla storia morendo anche lui.
Ciò che DeLillo cerca di descrivere è l'equilibrio della lotta, i momenti in cui la realtà lascia ancora spazi all'azione di personaggi immaginari, il periodo precedente all'istante in cui la bilancia non ce la fa più e lascia che il piatto della storia abbia la meglio. DeLillo vede nella storia un'entità negativa per definizione, votata per natura alla morte, ed è per questo che la verità storica del caso Kennedy viene liquidata con un complotto di comodo. Un complotto c'è sempre e comunque, perché è la vita stessa a tramare contro se stessa, perché è la vita stessa il nemico principale di se stessa.
Il vero argomento del libro sono infatti le immagini più dubbie, quelle in cui il lettore è quasi certo di trovarsi davanti a un'invenzione dello scrittore; come quella in cui un Oswald ancora ragazzo osserva atterrito dei suoi coetanei che massacrano un gatto sbattendolo contro un lampione. Sono i momenti in cui DeLillo appaga la nostra insoddisfazione verso il passato con una soluzione intuitiva, i momenti in cui il destino di una persona realmente esisti-
ta viene spiega-
to con qualco-
sa di verosimile
ma comunque immaginario, magari con una predestinazione astrologica.
Per quanto meticolosamente documentato, Libra va dunque letto per quello che l'autore voleva che fosse, un romanzo. Il racconto di un uomo che si affaccia sul mondo per cambiarlo e in qualche modo ci riesce, ma nel riuscirci viene stritolato. Potrebbe essere tanto la storia di Kennedy, quanto quella di Oswald o di altri personaggi del libro. Giunti al capolinea dei sentimenti, il destino degli uomini non è molto diverso: tutti vogliono cambiare, tutti finiscono per morire. E di fronte a ciò, come dice DeLillo, "le storie sono una consolazione; la finzione può essere un balsamo".
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