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e un bellissimo libro rispecchia la vera realta del carcere anche qualche giudice dovrebbe leggerlo
Lodevole iniziativa quella di dare risalto alla realtà carceraria, ma...secondo me l'autore ci marcia, il libro non va inn profondità e forse Cannavò adesso ha bisogno di visibilità e sfrutta certi filoni
con questo libro si scopre la vita carceraria che è sconosciuta a tutti. Incredibile, non avrei mai detto che all'interno di un carcere ci fossero così bei sentimenti profondi e teneri. un mondo da scoprire. Consigliato a tutti per comprendere una altra parte di sovietà che ci appartiene ma di cui neghiamo volutamente l'esistenza o meglio "scansiamo l'argomento".
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Dal marzo al novembre 2003, Candido Cannavò, ex direttore del più famoso quotidiano sportivo d'Italia, la Gazzetta dello Sport, visitò con regolare cadenza giornaliera il carcere di San Vittore a Milano. Fu così assiduo nel rispettare questo impegno quotidiano, da destare la sospettosa e solerte preoccupazione dell'autista che lo accompagnava: cosa ci andava a fare ogni mattina il direttore al penitenziario? Non certo a scontare la pena di sessanta giorni, paventata scherzando al solerte accompagnatore. Per otto mesi il giornalista fece di San Vittore "il suo posto di lavoro, la sua seconda casa, l'approdo per un'esperienza professionalmente unica e umanamente preziosa" di cui questo libro è l'appassionato resoconto.
Introdotto da una intensa prefazione del direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, e da un intervento del cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, il libro racconta in oltre 200 pagine, più un inserto di fotografie a colori di Roby Schirer, l'incontro con un'umanità ai margini, le sue esperienze, i suoi sentimenti, le sue speranze, le sue paure. L'autore compie un viaggio tra uomini e donne precipitati in un inferno che molti dal di fuori non conoscono e non vogliono conoscere, persone che attendono, spesso, solo un piccolo aiuto per essere recuperati alla dignità. Con loro conosce anche il mondo, non meno vario e affollato, dei volontari, degli agenti, degli educatori, dei medici, degli avvocati, che vivono gomito a gomito con i detenuti nelle loro lunghe giornate di reclusione. L'itinerario del cronista, "partito in tutta umiltà, con animo sgombro, privo di prevenzioni" ha inizio dal settore femminile, dove incrocia le esistenze di mamme con i loro neonati ("Dove è finita - scrive sdegnato l'autore - e quale applicazione trova la famosa legge Finocchiaro sulle misure alternative al carcere per le madri?"); donne straniere che, lasciato il loro paese in cerca di una nuova vita, dell'Italia hanno visto solo il carcere; signore un tempo ricche e famose che vivono in un altero isolamento; cinesi che in carcere hanno trovato marito. Proseguendo nell'itinerario si sposta nell'enorme affollatissimo settore maschile, dove le condizioni si fanno più dure e i reati dei detenuti innominabili, ma dove è tuttavia possibile "raccogliere storie di tenacia, di intelligenza, di fantasia, di speranza infinita e anche d'amore, che possono apparire incredibili in quel contesto di espiazione e dolore". Scritte utilizzando uno stile giornalistico scorrevole ed elegante, anche quando affrontano gli argomenti più duri, le pagine di Candido Cannavò sono destinate a lasciare un segno e a far riflettere su un mondo che è troppo spesso dimenticato. L'autore non solo lo ha raccontato, l'ha anche vissuto dall'interno, condividendone le angosce, la ricerca di realizzazione e le speranze.
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