L'analisi delle forme di Stato in questa nuova edizione dà un risalto ancora maggiore alla questione della crisi dello Stato democratico. Questa riguarda innanzitutto le nuove democrazie che si sono affacciate sulla scena a partire dagli anni '90 del secolo scorso. Il fenomeno delle "democrazie di facciata" è evidente negli Stati ex socialisti dell'Europa centro orientale, in alcuni dei quali (come Ungheria e Polonia) sono al potere forze ultranazionaliste e illiberali che hanno adottato leggi limitatrici della libertà di dissenso e della indipendenza della magistratura e della Corte costituzionale. Un'analoga qualificazione può essere utilizzata per la Russia per la forte concentrazione di poteri nelle mani del Presidente, accentuata dal ruolo dominante giocato da Putin, il quale grazie ad una revisione costituzionale del 2008 che ha abolito il limite del doppio mandato presidenziale e prolungato da quattro a sei anni la sua durata, è stato Presidente dal 2000 al 2008, per "accontentarsi" fino al 2012 della carica di Primo ministro, ed essere poi di nuovo eletto Capo dello Stato nel 2012 e resterà tale fino al 2024 (grazie alla sua rielezione nel 2018). Ma seri problemi affliggono anche le democrazie tradizionali definite in passato come "consolidate", nelle quali si può constatare una crisi della rappresentanza e della politica e quindi della partecipazione popolare che determina un forte distacco tra i cittadini e le istituzioni. Questa, insieme agli effetti determinati dal ridimensionamento dello Stato sociale (crescente diseguaglianza, impoverimento, aumento della disoccupazione, insicurezza) ha dato vita a due movimenti opposti ma che si alimentano a vicenda: da un lato le tendenze elitarie e tecnocratiche, favorite dalla politica liberista e di austerità prevalente nell'Unione Europea, dall'altro lo sviluppo di movimenti populisti, che immaginano il popolo come soggetto unitario e negano il ruolo della intermediazione politica e istituzionale.)
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