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C'è una ambiguità di fondo: il libro è "contro l'ideologia individualista", come dice il sottotitolo, o tenta di separare un individualismo "cattivo" da un individualismo "buono"? Ancora più grave è che questa separazione si basi su un elemento moralistico, sulle categorie dell'altruismo e dell'egoismo. E' sbagliato sostenere, come fa Urbinati, che il giudizio politico sia equivalente al giudizio morale: sono cose diverse. Per favorire l'individualismo "buono", Urbinati sostiene la necessità di una "permanente azione educativa", perché "la società democratica è un permanente progetto educativo": l'individualismo "buono" si può sviluppare solo in una "comunità etica" (che brutta espressione, e quanto somiglia allo "Stato etico" di Gentile!). Per Urbinati è necessario favorire l'individualismo "buono" con uno "sforzo educativo e di partecipazione", un "lavoro lungo e lento di educazione dei sentimenti", che operi nella sfera privata e sociale, nelle famiglie e nei luoghi di lavoro, in modo da riuscire a "guidare i comportamenti in tutte le relazioni sociali", nelle relazioni pubbliche e in quelle private. Per un liberale (come credo di essere) sono espressioni che fanno rabbrividire. Urbinati esalta la partecipazione degli antichi, dimenticando che i cittadini della polis potevano dedicarsi alla cosa pubblica perché gli schiavi lavoravano al loro posto. Nella polis non c'era spazio per i diritti dell'individuo: capitava che l'assemblea dei cittadini decretasse la condanna a morte di qualcuno, senza un regolare processo, come capitò a Socrate. L'individuo liberale non è un individuo "neutro, vuoto di specificità culturali, economiche o di genere". Tutta la polemica di Urbinati contro il liberalismo è eccessiva; è assurdo dire che il liberalismo economico sia "incompatibile con una visione democratica della politica", o che favorisca la tirannia. I regimi totalitari del Novecento sono regimi che hanno cercato di cancellare l'individualismo economico.
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