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C'è un'ambivalenza che percorre tutte la pagine di questo volume di versi di Alberto Bertoni, un continuo oscillare tra aspetti opposti del reale: dall'ambiente domestico più conosciuto, e protettivo, e affettuosamente intenerito (la Modena natale, i campi, il gioco delle bocce, i "poveri gatti tristi") ai viaggi all'estero (New York, Scozia...); dalla gente umile, di scarse ambizioni ma di solide verità che animava la sua infanzia (le robuste pulizie delle sorelle Barbolini, gli amici del nonno), alle conferenze universitarie e alla frequentazione di signore raffinate, fino agli omaggi riservati ai protagonisti culturali contemporanei (Delfini, Giudici, Bevilacqua, Guccini). Le poesie hanno cadenze serenamente e malinconicamente narrative, più propense alla descrizione nostalgica che allo scandaglio introspettivo o alla meditazione: inframmezzate da prose tese a illustrare con uno stile piano e discreto memorie personali (il gioco del calcio o la passione per i cavalli), incubi o località che hanno lasciato un segno nell'animo del poeta, e non sembrano servire da contrappunto razionale ai versi, ma semmai valgono a prolungarne l'aura poetica. Che vibra maggiormente -senza tuttavia raggiungere l'incandescenza emotiva che il Bertoni eccellente critico letterario auspica in chi scriva poesia- quando l'autore si commuove sugli affetti più cari, come la demenza senile dei genitori e la loro morte ("Nel supremo trapasso/ avrà riso mia madre del fatto/ che non sono stato al suo fianco") o quando traccia di se stesso un'immagine rassegnata e delusa ("Forse sono io quell'uomo/ rannicchiato in un'auto uguale/ che scruta il mio stesso giornale/ di programmi e risultati/ senza un ricordo di cui essere geloso/ lo scatto di trotto sbilenco// questo cuore a riposo"; "Solo adesso/ misuro il mio tempo/ adesso che mi penso/ mentre sto fermo...").
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